INTERNAZIONALE SITUAZIONISTA
SANGUINETTI Gianfranco
(Pully, Svizzera 1948)
Gli operai d'Italia e la rivolta di Reggio Calabria
Luogo: Milano
Editore: Internazionale Situazionista, "Secondo supplemento al n. 1 della rivista «Internazionale Situazionista»"
Stampatore: Stampa Grafiche A. Nava - Milano
Anno: s.d. [ottobre 1970]
Legatura: brossura a due punti metallici
Dimensioni: 21x15 cm.
Pagine: pp. 16 n.n. compresa la copertina
Descrizione: copertina con titoli in nero su fondo bianco. In quarta di copertina una riproduzione in bianco e nero di un articolo di giornale del 1871 a firma di Giuseppe Piccio, contro la Prima Internazionale. Testo di Gianfranco Sanguinetti. All'interno viene riprodotto il volantino distribuito il 19 dicembre 1969 dopo la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre: «Il Reichstag brucia?». In appendice una dichiarazione programmatica. Edizione originale.
Bibliografia: N. D.
Prezzo: € 150ORDINA / ORDER
La «rivolta di Reggio Calabria» fu una sommossa popolare avvenuta a Reggio Calabria dal luglio del 1970 al febbraio del 1971, in seguito alla decisione di collocare il capoluogo di regione a Catanzaro nel quadro dell'istituzione degli enti regionali. Iniziata con lo sciopero del 13 luglio 1970, vide subito dissociarsi il Partito Comunista e il Partito Socialista Italiano. Le destre, e in particolare Il Movimento Sociale Italiano, cercarono immediatamente di sfruttare il malcontento popolare, costituendo il «Comitato d'azione per Reggio Capitale». Ma la rivolta, contrassegnata fin dall'inizio dalla violenza popolare e dalla repressione attuata dallo Stato, era sostenuta anche da vari movimenti extraparlamentari di sinistra come Lotta Continua e Servire il Popolo, e dagli anarchici. Furono dieci mesi di assedio che si conclusero nel febbraio 1971 con l'inquietante immagine dei carri armati sul lungomare della città. Oltre alla forza, per la soppressione della rivolta si ricorse a mediazioni e compromessi politici (il cosiddetto «Pacchetto Colombo») che portarono ad una insolita divisione degli organi istituzionali della Calabria (la giunta regionale a Catanzaro, il consiglio a Reggio Calabria) e all'insediamento nel territorio reggino di apparati produttivi che non furono mai realizzati o furono subito oggetto di speculazioni da parte della 'ndrangheta, come i poli industriali di Saline Joniche e di Gioia Tauro.
"I situazionisti non si chiamano comunisti solo per non confondersi con i quadri delle burocrazie antioperaie filosovietiche o filocinesi, relitti del grande fallimento rivoluzionario destinato ad estendere la dittatura universale dell'Economia e dello Stato. I situazionisti non costituiscono un partito particolare in concorrenza con gli altri partiti sedicenti «operai». I situazionisti si rifiutano di riprodurre al loro interno le condizioni gerarchiche del mondo dominante. Essi denunciano ovunque la politica specializzata dei capi di gruppi e partiti gerarchici, che fondano sulla passività organizzata dei loro militanti la forza oppressiva del loro potere illusorio di classe futura... I situazionisti sono la corrente più radicale del movimento proletario in molti paesi, quella che sempre spinge avanti. Sforzandosi di chiarire e di coordinare le lotte sparse dei proletari rivoluzionari, essi contribuiscono a dare ai proletari le loro ragioni... In tutte le lotte attuali, i situazionisti mettono sempre avanti la questione dell'abolizione di «tutto ciò che esiste separatamente dagli individui» come la questione decisiva del movimento di negazione della società esistente... I situazionisti non hanno da nascondere le loro posizioni e le loro intenzioni. Essi dichiarano apertamente che il loro interesse e unico scopo non è niente di diverso dal rendere permanente la rivoluzione sociale sino a che siano concentrati nella federazione internazionale dei Consigli dei lavoratori tutti i poteri, il potere di ciascuno su tutti gli aspetti della vita quotidiana, cioè dell'economia, della società, della storia.Non può trattarsi dunque di una trasformazione della proprietà privata o statale, ma della sua abolizione; non del mitigamento dei contrasti di classe, ma della abolizione delle classi; non del «miglioramento» della società attuale, ma della creazione di una nuova società; non di una realizzazione parziale che genera una nuova divisione, ma dell'intolleranza di ogni nuovo travestimento del vecchio mondo..." (dalla dichiarazione programmatica in appendice).
"I situazionisti non si chiamano comunisti solo per non confondersi con i quadri delle burocrazie antioperaie filosovietiche o filocinesi, relitti del grande fallimento rivoluzionario destinato ad estendere la dittatura universale dell'Economia e dello Stato. I situazionisti non costituiscono un partito particolare in concorrenza con gli altri partiti sedicenti «operai». I situazionisti si rifiutano di riprodurre al loro interno le condizioni gerarchiche del mondo dominante. Essi denunciano ovunque la politica specializzata dei capi di gruppi e partiti gerarchici, che fondano sulla passività organizzata dei loro militanti la forza oppressiva del loro potere illusorio di classe futura... I situazionisti sono la corrente più radicale del movimento proletario in molti paesi, quella che sempre spinge avanti. Sforzandosi di chiarire e di coordinare le lotte sparse dei proletari rivoluzionari, essi contribuiscono a dare ai proletari le loro ragioni... In tutte le lotte attuali, i situazionisti mettono sempre avanti la questione dell'abolizione di «tutto ciò che esiste separatamente dagli individui» come la questione decisiva del movimento di negazione della società esistente... I situazionisti non hanno da nascondere le loro posizioni e le loro intenzioni. Essi dichiarano apertamente che il loro interesse e unico scopo non è niente di diverso dal rendere permanente la rivoluzione sociale sino a che siano concentrati nella federazione internazionale dei Consigli dei lavoratori tutti i poteri, il potere di ciascuno su tutti gli aspetti della vita quotidiana, cioè dell'economia, della società, della storia.Non può trattarsi dunque di una trasformazione della proprietà privata o statale, ma della sua abolizione; non del mitigamento dei contrasti di classe, ma della abolizione delle classi; non del «miglioramento» della società attuale, ma della creazione di una nuova società; non di una realizzazione parziale che genera una nuova divisione, ma dell'intolleranza di ogni nuovo travestimento del vecchio mondo..." (dalla dichiarazione programmatica in appendice).