Bruno Corra futurista strano, dà sfogo al suo cinismo in un libro che si intitola all’amore moderno. In cosa l’amore moderno è diverso dall’antico?
Prima di tutto è diversa la donna che non è più l’angelo del focolare. E ci sono i soldi, tanti tantissimi soldi che danno forma a ogni ambizione. E poi c’è la metropoli spietata, e tutto il contorno di affari e morali in cui si mescolano sentimenti e interessi, necessità e desideri, tutti i toni di una umanità alla ricerca disperata di un senso. Che dovrebbe essere l’amore, l’amore. E invece l’amore è un pretesto.
Io ti amo. Romanzo dell’amore moderno esce nell’agosto 1918 a Milano, Studio Editoriale Lombardo, nella veste grafica che caratterizzerà le edizioni Facchi: copertine che non avevano bisogno di disegni tanto era suggestivo l’impiego dei caratteri tipografici. E per quanto sia una sparata pubblicitaria la menzione “dal settimo al decimo migliaio” ne furono vendute parecchie copie visto che nello sesso anno ne uscì un’altra edizione, stampata da un altro tipografo, e nel 1920 (ma stampata nel 1919), una versione in francese, stessa veste grafica e questa volta col nome dell’editore Facchi: Je t’aime. Le roman de l’amour moderne. Seguirà poi una terza edizione nel 1921 (Milano, Sonzogno) con una copertina a colori di Luigi Bompard.
Due giovani si sposano come se il matrimonio fosse il punto d’arrivo del loro amore celeste e invece è l’inizio della vita vera, quella che alla fine del mese ti chiede il conto e ti presenta la bolletta. Così già dalla prima notte attesa e immaginata come l’apoteosi del piacere è evidente lo scarto fra realtà e immaginazione: una profonda delusione. Potrebbero fermarsi a riflettere sulla realtà invece mettono tutto il loro impegno nello sforzo ginnico di procurarsi più orgasmi che possono. Certo l’amore borghese fatto di famiglia, ipocrisia e gelosia non li soddisfa per niente. Loro vogliono andare oltre e realizzare i loro sogni, lui di scrittore lei di diva, e sono disposti a vendere anima e corpo: lei può darsi ad altri uomini con lui consenziente perché il loro amore è superiore alle convenzioni, è “eroico”, dicono, e in questo si sentono profondamente uniti anche se dormono in letti separati.
Volevano progettare e cambiare la loro vita ma la vita li ha cambiati ogni giorno piano piano. Lei si è fatta più bella e più puttana, lui più raffinato ed esperto non solo con la penna: all’improvviso è il vuoto e lui non prova neanche a fermarsi un momento per coinvolgere lei in questa percezione del loro povero disastro. La liquida, in fondo era solo una troia, e lui va a far l’eroe in guerra, tenacissimo nel seguire il sogno di una vita fuori dall’ordinario, di un amore puro come la morte.
E l’amore l’amore. Che più normale non può essere, che più abitudinario e quotidiano, indecente e felice. L’amore fatto di piccole cose, di conti che quadrano, di ragionamenti, di scelte, di corpi morbidi e imperfetti, senz’anima e senza cuore per l’amor di Dio. Dunque se ritieni proprio indispensabile dire che ami chiediti anche se ne sei capace:
“Hai voluto imporre al tuo avvenire un programma preciso ed a scadenza fissa, senza capire che la vita è sempre, più o meno, una battaglia nella notte, in cui ogni combattente deve tenere il suo posto, con fermo stoicismo, soffrendo e sanguinando senza cedere sinché la notte non ceda, sinché l’albore di qualche vittoria non riveli all’orizzonte, una conquista. (…) Il tuo errore primo, centrale e capitale, è stato di non aver la forza di pronunciare con incrollabile convinzione tre parole che son sempre state la base più necessaria di tutte le vite. Queste preziose parole, vecchie quanto il mondo, sono ben note a te come a tutti. Eccole: IO TI AMO. (…) Quando le hai dette, le hai dette male. Poi, le hai smentite. E il peggio si è che quasi sempre tu le hai vilmente subordinate a cento condizioni. Così alla tua arte come alla tua donna, così alla tua purezza come al tuo ingegno, hai detto: Io ti amo! Ma hai poi aggiunto, più o meno incoscientemente, dentro di te: Sì, ti amo, ma a patto che questo mio amore non mi attiri il tale dolore, la tale fatica, la tale disgrazia. E con questa vile aggiunta hai distrutto completamente ciò che di bello e di forte avevi creato con la tua affermazione” (pp. 210-211).