“Leggi il saggio del Mamiani poi rimettimi il tutto. Il tuo Leopardi“.
Questo biglietto autografo di Giacomo Leopardi si trova appiccicato al frontespizio di un fascicolo della rivista ANTOLOGIA, il giornale di scienze, lettere e arti pubblicato a Firenze da Giovan Paolo Vieusseux.
Siamo nel settembre 1827, l’anno in cui Leopardi si trasferisce da Bologna a Firenze e lì frequenta l’ambiente colto e progressista che riuniva intorno a Vieusseux Gino Capponi, Giovanni Battista Niccolini, Pietro Colletta, Niccolò Tommaseo, Alessandro Manzoni ecc. Due mesi dopo si traferirà a Pisa e proprio durante quel soggiorno comincerà la gestazione dei primi grandi idilli; poi dalla metà del 1828 fino al 1830, segregato a Recanati in preda alla malattia, durante “sedici mesi di notte orribile” Leopardi scriverà i versi più belli del nostro Ottocento.
Il saggio di Terenzio Mamiani a cui allude il biglietto si trova all’interno del fascicolo e si intitola Sopra una speciale condizione degli scrittori moderni. E’ una difesa dei fisiologi francesi dalle accuse di materialismo e irreligiosità: “Io ho sempre annoverato fra le sventure più afflittive de’ nostri tempi, quella prestezza inconsiderata e impetuosa con la quale or l’uno or l’altro scrittore è tacciato di pensieri guasti, e di principii avversi alla santità della religione, o alla quiete degli stati“.
Ma a chi Leopardi prestava questo fascicolo? Impossibile dirlo con certezza. A me piace pensare che fosse all’amico di sempre Pietro Giordani, un altro strano come lui sebbene diversamente, uno che aveva voluto fare la rivoluzione e poi si era isolato nel disgusto della moda romantica. Leopardi che di amici ne aveva pochissimi forse solo con lui poteva firmarsi “il tuo Leopardi”. D’altra parte la provenienza del fascicolo è la stessa di cinque lettere di Giordani acquisite in unico blocco e ancora da studiare.
A pensarci bene nella mia collezione di frammenti una poesia di Leopardi, rarità a parte, non ci poteva stare. La grande poesia non ha bisogno di esser conservata sotto vetro o in uno scaffale, non ha bisogno di cure né d’amore, vive per sempre nella memoria e si incide nel DNA dell’umanità. Ma la storia del fascicolo prestato e da restituire, l’affetto di quel “tuo” e il desiderio di un poeta di condividere le idee di un intellettuale che non ci stava a farsi tappare la bocca dai bacchettoni, questo sì andrebbe forse perduto e potrebbe essere tranquillamente dimenticato senza danno per l’umanità. Questo solamente conservo qui, di nessuna importanza quanto alla comprensione dell’uomo e della poesia e di nessun interesse per la storia, ma reliquia fra le cose che cadono nel tempo.
Il mio Leopardi le tue teologie
Esiste Dio? Le risate più pazze…
(Francesco Guccini)
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sono quelle le cose che bisogna conservare, non le grandi idee dell’umanità ma i ricordi di una lunga estate, la linfa aspra che ahimè per i grandi e per gli altri passa troppo presto.
Bravo, come sempre