In una lettera del 14 febbraio 1931, Vasari scriveva a Guglielmo Jannelli:
“Carissimo Guglielmo… circa Marinetti, ti prego di non parlargli affatto di me. Egli ha dei gravi torti che non ha fatto a me e a Walden, ma direttamente al Futurismo. Desidero solamente che tu gli scriva subito per farti mandare o portare a Messina il manoscritto di Raun, che ti prego di leggere attentamente, dato che per ora non vedo nessuna possibilità di poterlo pubblicare. Ci tengo che ne abbia piena cognizione, perché in esso ho creato un meraviglioso mondo, che pure essendo al di fuori del tempo e della realtà, è così vivente e ci tocca così da vicino, che noi sentiamo profondamente tutte le sofferenze di questa umanità meccanizzata… Ti mando a parte la trama cinematografica per avere una esatta cognizione del mio pensiero, cognizione che non puoi avere dal dramma per ragioni artistiche e tecniche…“.
E il 12 marzo, in un’altra lettera:
“Caro Guglielmo… io vado al di là del Futurismo perché mentre da un lato esalto la macchina… dall’altro ne provo orrore! E perché? Perché la meccanizzazione distrugge lo spirito! Quando lo spirito è morto, anche l’uomo è morto o resta l’automa senza vita, senza desideri, senza gioie, insomma come io da profeta tratto di scorcio il 6° tempo di Raun! … Cosa avrebbe preteso Marinetti? Che io finissi Raun con quattro paroloni rettorici come è sua abitudine, e dicessi: « Oh, macchina meravigliosa anguillante creatura, io sono tutto preso nei tuoi ingranaggi nervi e voglio bere il tuo cuore torrido, assaporandolo come una caramella! » Ma insomma… Caro Jannelli, ne ho pieni i coglioni! Ecco la verità. Ti giuro che al giudizio di Marinetti non ci ho mai tenuto…” (stanno in Mario Verdone, Teatro del tempo futurista, Roma, Lerici, 1969; pp. 315-317).
Il 22 giugno 1931, gli ultimi due tempi di Raun vengono pubblicati sulla rivista OGGI E DOMANI: i primi quattro, molto probabilmente, erano ancora inediti.
Il libro viene pubblicato il 24 maggio 1932 a Milano per le Edizioni della Lanterna col titolo: L’uomo e la macchina. Raun. Spettacolo. La copertina è di Quirino De Giorgio, una “aeroscenografia” dal titolo La città di Raun, esposta alla Biennale di Venezia che si inaugurava proprio in quel maggio. Tuttavia, al verso del primo foglio, scorrendo l’elenco dei libri precedentemente pubblicati, campeggia questo titolo: Raun. Spettacolo, Milano, Edizioni Metropoli, 1932. Claudia Salaris nella sua bibliografia futurista la cita come prima edizione ma nessuno l’ha mai veduta. E’ molto probabile che Vasari utilizzando un espediente comune ai futuristi, volesse lasciar intendere quanto fosse ormai famosa la sua opera.
Questa con la copertina di De Giorgio è dunque la prima edizione.
A cosa si deve il cambio di copertina? Non certo al numero di copie vendute: la prima edizione, con copertina di De Giorgio, è rarissima mentre la seconda qualche volta si trova: è evidente che il numero delle copie ricopertinate supera di molto quelle originali, al punto che spesso nelle bibliografie la prima edizione viene datata “1933”.
Il cambio di copertina si deve molto probabilmente alla volontà di Vasari e del nuovo editore Lino Cappuccio, di polemizzare rimarcando l’aspetto alienante e inumano del macchinismo contro l’ottimismo marinettiano. Il lirismo de L’angoscia delle macchine, a cui forse si riferiva idealmente la copertina di De Giorgio (le urla disperate delle macchine morenti) viene rimpiazzato dall’automatismo soldatesco, asettico e ripetitivo dei pupazzi di Pannaggi.
Fin dal primo tempo del dramma è evidente l’ostilità fra uomo e macchina:
“C’è qualcuno che vuole distruggere la torre per salvare questa umanità che non ha più nulla di umano – questa umanità accecata dall’orgoglio e dalla potenza – questa umanità che ha dimenticato che esiste il sentimento – l’amore – la pietà“.
La Torre che dovrebbe rappresentare la potenza e la civiltà perfetta di Raun viene progettata da Volan in modo che crolli prima di raggiungere la meta dei 10.000 metri: quando avviene la catastrofe Volan viene imprigionato dall’Uomo Rosso, la grande macchina (Il Grande Fratello) che governa la città. Chiuso nella prigione elettrica, delirante e travolto da terribili visioni, Volan viene liberato da Sicar, la donna, la “grande prostituta” innamorata di lui ma piuttosto che concedersi a lei lui tornerebbe in prigione. Sicar lo relega in un isolotto agli antipodi di Raun. Volan ormai non ha più niente a che fare col mondo delle macchine: il suo obiettivo è ora dare vita a un essere che possa salvare l’umanità. Per realizzare questo proposito, nel terzo tempo Volan riesce a entrare negli inviolabili Ginecei dove è installata la ginemacchina selezionatrice della razza. Qui vivono le vergini di Raun, giunte alla pubertà. Secondo il responso della macchina, le vergini sono adibite alla procreazionematernità (categoria M), al piacere (categoria P) e al lavoro (categoria L). Volan farà l’amore con Saib, bambola inanimata, perché da lei nasca un essere che non sia più macchina. Saib è riconosciuta colpevole di essersi «umanata» ed è punita con l’allontanamento da Raun. Nel quarto tempo Volan ha raggiunto un’isola deserta, nel quinto tornerà a Raun nel rosso cantiene dei transplanetari, e nel sesto riuscirà a farli disperdere negli spazi, assistendo nell’isola deserta alla morte delle macchine: l’umanità tornerà alla vita primitiva. Luddismo futurista?
Qui di seguito alcune scene tratte da Metropolis di Fritz Lang (1927)