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Carmelo Bene in una scena del Macbeth
Fotografia originale di Cristina Ghergo 4 gennaio 1983

Carmelo Bene pubblica nel 1983 Sono apparso alla Madonna (Milano, Longanesi). L’immagine in copertina è una foto di scena del Macbeth, rappresentato al Teatro Lirico di Milano il 4 gennaio 1983. La fotografia è di Cristina Ghergo, figlia di Arturo, che con le sue immagini aveva raccontato la moda e il bel mondo fra gli anni Trenta e i Cinquanta.

V’è una nostalgia delle cose che non ebbero mai un cominciamento“. Questo l’incipit, e c’è già tutto: quel che non comincia è l’autobiografia.
Con questo libro e Macbethl’eroe annientato dal suo stesso progetto“, Carmelo Bene dice al mondo che la sua vita è stata triturata (finalmente) dalla macchina attoriale, non gliene resta che quel tanto bastevole a farlo passare per pazzo.

Me lo ricordo al Teatro Carcano di Milano nel 1989, durante la sua rivisitazione de La cena delle beffe di Sem Benelli.
Insieme a un amico lo avevo aspettato fuori dai camerini, pregando una delle sue numerose e belle assistenti di farci questo favore perché noi lo amavamo senza ritegno, ci bastava vederlo e toccarlo come un santo e basta, niente domande niente abbracci solo qualche secondo. Nel frattempo lo sentivamo urlare “Mandateli via, dite loro ch’io non sono, mandateli via”. Ma la ragazza chi sa come lo convinse “Maestro…”. E lui apparve sulla soglia, assente in tutto, gli occhi rivolti verso l’alto a non guardarci, la mano molle che toccammo con devozione. Poi ce ne siamo andati, non felicissimi ma insomma, avevamo di che riflettere. Dicevano che soffrisse di “complesso di persecuzione”. Perché nemmeno potevano immaginare la storia di un uomo che decide di essere e non limitarsi a praticare la propria arte, che la barriera fra teatro e vita l’aveva dissolta, e ora lui era un capolavoro. E critici giornalisti intellettuali a chiedergli cosa significasse e perché se la tirava così tanto. Avevano bisogno di una ragione qualunque purché decifrabile e non si accorgevano che la risposta era in quel loro affannarsi a voler capire (prendere e basta, staccare il pezzo che interessa buttando il resto) senza disporsi a comprendere (prendere con, tutto il peso di quel che è, dell’incomprensibile, del degenere).

Nella foto Carmelo/Macbeth viene fuori dal buio ma la cintola e lo scudo si confondono con lo sfondo bianco, come se fosse imminente la trasformazione in una abbagliante luce. Non sta recitando, o meglio, sta recitando il suo non esserci in questa storia, nella rappresentazione di qualcosa, nella volgarità dei dibattiti e delle opinioni, libero dall’esserci di quegli altri, da obblighi, prenotazioni, consensi, pubblico: è finalmente eroe (più eroi):  “Quante inezie vi avrei risparmiato, se fossi a questo mondo e Dio esistesse” (Carmelo Bene, Macbeth o il tramonto della solitudine, in Opere, Milano, Bompiani, 1995; pag. 1200).

Ecco una sintesi delle prove del Macbeth, tratta dal documentario curato da Maurizio Grande Concerto per attore solo del 1984. Carmelo Bene chiede agli attori di non recitare, di non essere i loro personaggi, di sparire: occorre diventare la cosa, l’azione, non un altro ego. La scena della risata, conclusiva, spiega perché le opere successive finirà per interpretarle sempre più da solo: “Devo ridere, non devo fa’ l’attore, non me ne fotte di fare l’attore“. Lui non c’era già più. Rimangono attori senza il coraggio di andare fino in fondo. Rimane lo spettacolo, il divertimento. Era già divenuto talmente solo che poteva significare il Macbeth come “tramonto della solitudine”.

This Post Has 2 Comments

  1. Giuseppe

    Gentile Tonini grazie infinite per questo toccante e, come suo solito, dotto omaggio al grande Carmelo.
    L’avevo contattata pochi giorni fa e non speravo in tanta solerzia. Le fa onore.
    Buona estate
    Giuseppe

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