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L’Arengario Studio Bibliografico
Fluxpapers. Libri e documenti dentro e attorno a Fluxus / Books and documents in and around Fluxus, Gussago, Edizioni dell’Arengario, 2015
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L’ultima delle avanguardie nasce ufficialmente nel settembre del 1962 con la serie dei quattordici concerti del Fluxus International Festival Of Very New Music tenuti allo Stadtischen Museums di Wiesbaden.  Dice George Brecht:

Dopo tutto Fluxus è una parola latina che Maciunas ha disseppellito. Io non ho mai studiato latino. Se non fosse stato per Maciunas nessuno probabilmente avrebbe mai chiamato così qualcosa. Saremmo andati ciascuno per la propria via, come l’uomo che attraversa la strada col suo ombrello, e la donna che porta a passeggio il cane in un’altra direzione. Ciascuno avrebbe preso la propria strada e fatto le proprie cose: l’unico punto di riferimento per questo gruppo di persone che ammiravano i lavori gli uni degli altri e che, più o meno, si piacevano a vicenda era Maciunas. Quindi Fluxus,per quanto mi concerne, è Maciunas…” (George Brecht, «An Interview between George Brecht and Robin Page for Carla Liss», ART AND ARTISTS, London, 1972; trad. Caterina Gualco).

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Immagine tratta dall’opuscolo di Philip Corner, Popular Entertainements, New York, Something Else Press, 1967

In principio era il Futurismo, lanciato da Marinetti dalle colonne del Figaro il 20 febbraio 1909: fu quello l’atto di nascita dell’avanguardia, il taglio definitivo con la concezione elitaria della cultura e della bellezza, che poi prese mille forme e nomi, mille ismi. L’avanguardia ha sempre avuto un solo scopo: immaginazione al potere, ricostruzione dell’universo, felicità illimitata per tutti. Non c’è niente da capire – c’è solo da essere c’è solo da vivere – aveva scritto Manzoni – quello morto giovane al bar Giamaica. Duchamp – Klein – Manzoni: dopo il grande vetro, l’esposizione del vuoto e le scatole stercorarie non ci fu più neanche l’ombra dell’arte, sono altre le cose importanti. Yves Klein muore nel 1962, Manzoni nel 1963, è più o meno a quel punto che Fluxus si materializza.

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Charlotte Moorman e Nam June Paik

Fluxus mise insieme tutti i dissenzienti, gli irregolari che non volevano contribuire alla crescita economica di qualunque paese, che rifiutavano il servizio militare, il lavoro, la militanza di ogni specie. Gli «ismi» che sorsero negli anni Venti e Trenta, lasciarono posto all’«art»: body, land, poor, concept, minimal, video, funk, mec, mail ecc. ma sempre rigorosamente «art». Fluxus aggiunse poesia, musica, etnologia, filosofia: tutti scivolarono in Fluxus e Fluxus abbracciò tutti indistintamente. Certo ci fu un nucleo di persone che si conoscevano e stavano spesso insieme, ma Fluxus era bello perché teneva assieme soprattutto quelli che non si conoscevano, le energie creative che provenivano da ogni angolo del mondo. L’arte non c’era più, c’erano persone che volevano perfettamente vivere: niente da contemplare e celebrare, tutto da cantare, danzare, accarezzare: fu lo Happening.

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Hanns Sohm, Happening & Fluxus, Köln, Kölnischer Kunstverein, 1970. Catalogo della mostra.

Nello Happening viene tolta anche la barriera fra creatori e fruitori, attori e pubblico, quelli di là e quelli di qua, è la macchina smontata dello spettacolo e il progetto di un divenire possibile, la libertà che fuori dai lacci della politica e della drammatica si fa corpo.

E così questa mostruosa composizione di energie differenti produce da subito una infinità di materiale: oggetti, volantini, poster, inviti e carte di ogni genere, tanto che dopo solo otto anni c’è il bisogno di storicizzare: a Colonia, nel Kölnischen Kunstverein, dal 6 novembre 1970 al 6 gennaio 1971 cu fu la prima e immensa esposizione Happening & Fluxus, a cura del collezionista prima ancora che studioso Hanns Sohm. Oltre al catalogo dei materiali esposti ce ne fu uno specifico dedicato ai documenti, ritenuti non meno indispensabili delle opere. In concomitanza della mostra si mosse anche un libraio antiquario illuminato:  Walther Koenig, che fece un piccolo catalogo in cui erano posti in vendita due centinaia di rari pezzi cartacei.

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Timm Ulrichs

Nacque così il collezionismo di Fluxus, che fu necessariamente di documenti più che di opere, o meglio, chi si comprava le opere non poteva poi fare a meno di integrarle coi documenti: inviti di mostre, poster, volantini, cartoline quasi sempre creati dagli stessi artisti: Erik Dietman fabbrica sculture perché non ci sono parole bastevoli a dire il mondo, Yoko Ono guarda il cielo attraverso un buco, Filliou ringrazia il Signore che ci ha fatto scoprire potentissime macchine da guerra – così la smetteremo di tirarci pietre addosso; il dolce muro di Allan Kaprow nel centro di Berlino Ovest, democrazia diretta contro partitocrazia nella borsina di plastica disegnata da Beuys, i décollages e l’insalata marcita di Vostell, e il povero Timm Ulrichs che l’arte non poteva vederla più neanche dipinta, e quanto altro – c’est la vie, gentlemen, une question de mots…

Da allora fino a oggi è incalcolabile la quantità di materiale prodotto da quelli che stavano nel flusso, ma più di tutto impressiona che ognuno di quegli oggetti comunichi sempre un pensiero, che rimanga traccia indelebile di una esperienza o di un affetto, che si imprima nella memoria mettendo radici: per flux con flux e in flux, moltiplicazione del pane e dei pesci per distribuire e far circolare creatività.

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Yoko Ono, We are beautiful, we are fun, we are mammals without tails, cartolina.
A celebration of Being Human, 1994.

La facce possono mentire i culi no. Finché parleranno del culo non si ammazzeranno l’un l’altro.

 Faces can lie, backsides don’t. So long as they continue talking about butts, they will not be killing each other.
(Yoko Ono)

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