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“Noi non vi vendiamo carta, copertine, sovracopertine, fasce, cellofane, risguardi, frontispizi, margini, colori, ecc., noi vi vendiamo idee“.
E’ questo lo slogan che compare a caratteri cubitali sul retro di copertina di un opuscolo: Politica dell’architettura firmato con lo pseudonimo “Archias” e stampato a Milano per Garzanti nel dicembre 1944. Ne trovammo una copia per la prima volta nel 1995, fra i libri della biblioteca di Libero de Libero, e quello slogan obbligava a leggerselo d’un fiato. Chiunque fosse quell’Archias non era uno sprovveduto, ne sapeva eccome: impressionante era l’anticipazione di quel che sarebbe avvenuto dopo nell’architettura, attraverso l’esperienza della ricostruzione fino al boom economico, e poi dopo all’architettura radicale degli anni Sessanta e Settanta:
“L’architettura moderna insegna un’altra cosa: che dobbiamo attrezzare l’uomo, la sua vita, la sua cultura, la sua civiltà, la sua moralità. Dobbiamo profetare l’uomo, l’uomo civile, l’UOMO” (pag. 24).
.Chi era Archias? L’attribuzione a Gio Ponti di questo opuscolo, da noi subito ipotizzata (L’Arengario S.B., Realismi, Gussago, 1996), trovò conferma in una lettera inviataci in data 24/11/1998 da Francesco Loni, responsabile della Società Savonese di Storia Patria. Nella lettera è riportato un breve testo di una delle figlie di Gio Ponti che conferma di averne visto qualche esemplare in casa propria durante il periodo di guerra. Già, a guerra ancora in corso Gio Ponti pensava alla ricostruzione. E tanto più seriamente ci pensava che questo opuscolo doveva essere il primo di una collana, “Gli idearii”, che avrebbe dovuto promuovere le nuove idee architettoniche, sulla scorta dell’assunto che prima di ricostruire le case occoreva ricostruire l’uomo.
E infatti nello stesso dicembre esce un secondo volume, Profezia urbanistica della macchina di Armando Melis, che in perfetta sintonia con Gio Ponti parte da una considerazione fondamentale:
“La mano dell’uomo è la prima macchina e la più perfetta. Nessun altro animale ha un organo così sapiente. Il numero delle dita, la loro diversa lunghezza e l’unghia, il loro snodo e l’attacco al palmo e al polso sono gli elementi di una insuperabile meccanica e possibilità esecutiva. E il pollice opponibile è un’altra facoltà e dono alla nostra mano, particolare… La mano dell’uomo è la prima macchina e la più meravigliosa” (pag. 2)
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E prosegue, rimarcando la necessità di comprendere l’architettura nell’urbanistica, di promuovere un rapporto equilibrato con la natura:
“Il prodigio sarà compiuto dalla macchina che realizzerà il sogno degli urbanisti: «ruralizar la urbe, urbanizar el campo», aveva detto il vecchio ingegnere spagnolo. Decentrate le industrie, diffonderete la macchina nell’agricoltura! Diffondete la macchina nell’agricoltura e avrete rivificato per sempre anche quel lavoro che sembrava colpito dall’indigenza e dall’abbandono!” (pag. 16).
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Questo secondo opuscolo sarà anche l’ultimo degli “Idearii”. L’urgenza della ricostruzione orienterà diversamente l’opera e la teoria dei nuovi architetti, costretti a lavorare nell’assenza di una “politica dell’architettura”. Ma di questo parleremo prossimamente in marzo, in un catalogo che dedicheremo agli anni della ricostruzione.