D'AMICO Tano
(Filicudi, Isole Eolie 1942)
[1988-00-00-PA-36a] Lo sguardo di Versetti da piccola
Luogo: Palestina, Campo di Deheishe
Editore: N. D.
Stampatore: N. D.
Anno: 1988
Legatura: N. D.
Dimensioni: 24x18 cm.
Pagine: N. D.
Descrizione: fotografia originale in bianco e nero, firmata. Stampa di epoca successiva a cura dell'autore (1990).
Bibliografia: Un ritratto di Ayat, diverso da questo, è pubblicato in: Tano D'Amico, «Ricordi», Roma, Fahreneit 451, 1992; pag. 27
Prezzo: € 400ORDINA / ORDER
Ayat (“Versetti”) Akras, diciotto anni, kamikaze delle «Brigate Martiri di Al-Aqsa» si fa esplo- dere il 29 marzo 2002 nel «Su- persol» di Kiryat Ha-Yovel, a Gerusalemme ovest, facendo a pezzi se stessa e due israeliani: una ragazza della sua età, Ra- chel Levy, e una guardia privata, Haim Smadar, 55 anni.
"Non occorre fare il mio lavoro per imparare che non sarà mai una fotografia a fare aprire gli occhi sulla realtà. Una fotografia, come la realtà, si può vedere solo se prima si aprono gli occhi. Mi sono sempre piaciute le immagini che non pretendono di dimostrare niente, che non servono. Chiedono solo di essere amate e ricordate. Sono immagini rare che un fotografo può solo cercare. Non sarà mai sicuro che verranno, non dipendono da lui, hanno una vita propria. Linee, angoli, chiari scuri si compongono davanti al fotografo e lo tagliano subito fuori. Il fotografo non c'entra più, i personaggi continueranno a vivere per conto loro. Il rapporto sarà tra loro e il lettore, lo spettatore. E sarà lo spettatore a far vivere quei personaggi, situazioni e sensazioni: senza il cuore degli spettatori torneranno ad essere pezzettini di carta macchiati d'inchiostro. Al cuore degli spettatori è stata sempre capace di arrivare direttamente la bambina del campo di Deheishe. Il campo di Deheishe è attaccato a Betlemme. E Betlemme è ad una dozzina di chilometri da Gerusalemme. Il campo era circondato da una altissima rete. I bambini non avevano mai visto Betlemme e Gerusalemme. La vita per loro non era altro che correre in mezzo al fango inseguiti da uomini in divisa. Tiravano sassi e si ostinavano a fare il segno della vittoria con le dita. Correvano, ma venivano sempre presi. Alcuni venivano rilasciati in aperta campagna, altri venivano incarcerati in piccole celle per cani, al buio. Le dita che si ostinavano a fare il segno della vittoria venivano calpestate dagli scarponi. Le scuole erano sempre chiuse, i bambini vedevano i loro padri umiliati, le madri oltraggiate. Non avevano punti di riferimento, erano molto legati fra loro. Si amavano molto. Crescevano intossicati dai gas, accecati e storpiati da tutti i tipi di proiettili antisommossa.Le fotografie degli uccisi venivano incollate alle pagine degli inutili quaderni di scuola. La bambina di Deheishe arrivava diretta al cuore degli spettatori. Li stupiva con la sua tenera, infantile ostinazione a combattere una battaglia, che sapeva perduta, con i soldati e con la vita. Molti dicono che si chiamasse Versetti. Io vorrei che fosse viva, bellissima, amatissima. Mi hanno detto che lo era. Sono tornato a Deheishe a piedi, come nelle dure giornate di molti anni fa. Dopo più di un mese di coprifuoco sembra che i bambini abbiano deciso di prendere in mano la situazione. Con le carriole prendono l'immondizia e la gettano sullo stradone che non hanno mai percorso. Le scuole sono chiuse. Sui loro inutili quaderni c'è l'immagine di Versetto diciottenne" (Tano D'Amico, "Una foto non salva il mondo", IL MANIFESTO, giugno 2002).
"Non occorre fare il mio lavoro per imparare che non sarà mai una fotografia a fare aprire gli occhi sulla realtà. Una fotografia, come la realtà, si può vedere solo se prima si aprono gli occhi. Mi sono sempre piaciute le immagini che non pretendono di dimostrare niente, che non servono. Chiedono solo di essere amate e ricordate. Sono immagini rare che un fotografo può solo cercare. Non sarà mai sicuro che verranno, non dipendono da lui, hanno una vita propria. Linee, angoli, chiari scuri si compongono davanti al fotografo e lo tagliano subito fuori. Il fotografo non c'entra più, i personaggi continueranno a vivere per conto loro. Il rapporto sarà tra loro e il lettore, lo spettatore. E sarà lo spettatore a far vivere quei personaggi, situazioni e sensazioni: senza il cuore degli spettatori torneranno ad essere pezzettini di carta macchiati d'inchiostro. Al cuore degli spettatori è stata sempre capace di arrivare direttamente la bambina del campo di Deheishe. Il campo di Deheishe è attaccato a Betlemme. E Betlemme è ad una dozzina di chilometri da Gerusalemme. Il campo era circondato da una altissima rete. I bambini non avevano mai visto Betlemme e Gerusalemme. La vita per loro non era altro che correre in mezzo al fango inseguiti da uomini in divisa. Tiravano sassi e si ostinavano a fare il segno della vittoria con le dita. Correvano, ma venivano sempre presi. Alcuni venivano rilasciati in aperta campagna, altri venivano incarcerati in piccole celle per cani, al buio. Le dita che si ostinavano a fare il segno della vittoria venivano calpestate dagli scarponi. Le scuole erano sempre chiuse, i bambini vedevano i loro padri umiliati, le madri oltraggiate. Non avevano punti di riferimento, erano molto legati fra loro. Si amavano molto. Crescevano intossicati dai gas, accecati e storpiati da tutti i tipi di proiettili antisommossa.Le fotografie degli uccisi venivano incollate alle pagine degli inutili quaderni di scuola. La bambina di Deheishe arrivava diretta al cuore degli spettatori. Li stupiva con la sua tenera, infantile ostinazione a combattere una battaglia, che sapeva perduta, con i soldati e con la vita. Molti dicono che si chiamasse Versetti. Io vorrei che fosse viva, bellissima, amatissima. Mi hanno detto che lo era. Sono tornato a Deheishe a piedi, come nelle dure giornate di molti anni fa. Dopo più di un mese di coprifuoco sembra che i bambini abbiano deciso di prendere in mano la situazione. Con le carriole prendono l'immondizia e la gettano sullo stradone che non hanno mai percorso. Le scuole sono chiuse. Sui loro inutili quaderni c'è l'immagine di Versetto diciottenne" (Tano D'Amico, "Una foto non salva il mondo", IL MANIFESTO, giugno 2002).