MARINETTI Filippo Tommaso
[Filippo Achille Emilio Marinetti] (Alessandria d'Egitto 1876 - Bellagio 1944)
Gli indomabili
Luogo: Piacenza
Editore: Edizioni Futuriste di Poesia della Società Tip. Editoriale Porta
Stampatore: Stabilimento della Soc. Tip. Edit. Porta - Piacenza
Anno: 1922 (giugno - luglio)
Legatura: brossura
Dimensioni: 21x14,5 cm.
Pagine: pp. (16) 184
Descrizione: copertina con titoli in nero e rosso su fondo chiaro. Con una introduzione dell'autore sullo stile parolibero. Le prime 16 pagine sono numerate con lettere maiuscole da A a Q. Esemplare con invio autografo a Luciano De Nardis. Prima edizione.
Bibliografia: Claudia Salaris, «Bibliografia del Futurismo», Roma, Biblioteca del Vascello, 1988: pag. 49
Prezzo: € 1200ORDINA / ORDER
"Come definire «Gli indomabili?» Romanzo d'avventure? poema simbolico? romanzo fantastico? fiaba? visione filosofico-sociale? - Nessuna di queste denominazioni può caratterizzarlo. E' un libro parolibero. Nudo crudo sintetico. Simultaneo policromo polirumorista. Vasto violento dinamico. Certo lo avevo nelle mie vene libere e nei miei liberi muscoli quando giocavo bambino nudo coi monelli negri nudi sulle dune roventi di Ramleh. (...) Avevo certamente nelle vene gl' «Indomabili» durante il mio ultimo viaggio nell'Alto Egitto. Ma la concezione di questo poema parolibero mi assalì il cervello nel dormiveglia di un mattino di settembre, qualche giorno dopo aver compiuto «L'alcova d'acciaio», ad Antignano. - Sulle officine livornesi occupate dagli operai garrivano bandiere rosse. Ma sembravano grigie sulla bianca scarlatta risata negra del mare ispiratore" (pp. E-F).
"«Gli Indomabili» rappresentano la vetta suprema di Marinetti prosatore «tradizionale»: da consumato allegorista egli dispiega in quest'opera il virtuosismo di uno stile maturo, non per nulla passato attraverso le più varie esperienze, uno stile a più registri, ora diretto, immediato, ora letterario e prezioso; ora intinto di spezzature brutali, ora soffuso di musicali delicatezze. (...) La prosa degli «Indomabili» regge il confronto con la miglior prosa d'arte del tempo. In un'isola vulcanica, sotto il cocente sole tropicale, un centinaio di uomini incatenati, gli Indomabili, nudi ma «irti di punte come istrici», e cinti di cosciali, frontali e collari di ferro, giacciono in una fossa guardati a vista da carcerieri negri museruolati. Ferocia, sangue, violenza sono gli attributi di questi uomini-belve che vengono nutriti dai carcerieri negri con pezzi sanguinolenti di bufali e pecore squarciati al momento e che gli Indomabili abbrancano a volo con la punta del frontale. (...) Col declinare del sole la furia belluina degli Indomabili s'acquieta: essi vengono liberati dai negri, ai quali, a loro volta, viene tolta la museruola dai Cartacei, signori dell'isola. (...) Gli Indomabili vengono condotti, come ogni sera, nell'«ombra affascinante e materna dell'Oasi». (...) Si giunge infine al Lago della Poesia e del Sentimento, dove gli Indomabili e i loro carcerieri si bagnano, mondandosi dai resti della passata ferocia. (...) Continuando il cammino gli Indomabili giungono alla città dei Cartacei. Il romanzo cambia registro e assume coloriture avveniristiche. (...) La città è in subbuglio: ferve la rivolta dei fluviali che si oppongono ai cartacei, loro dominatori. Mirmofim, uno degli Indomabili, si pone a capo dei Fluviali: ma il fiume rivoluzionario travolge gli Indomabili che, per salvarsi, sono costretti a fuggire attraverso l'Oasi e a tornare all'arsione della loro fossa dove giaceranno di nuovo incatenati" (Filippo Tommaso Marinetti, «Teoria e invenzione futurista. A cura di Luciano De Maria», Milano, Mondadori, 1983: pp. LXXXIII - LXXXVI).
"«Gli Indomabili» vengono pubblicati nel '22, dopo quella che potremmo denominare la delusione politica del '20, conclusasi con le dimissioni di Marinetti dai Fasci di Combattimento. Si assiste allora, nell'opera, a un ritorno del pessimismo sociale giovanile e, parallelamente, all'accentuarsi della funzione catartica, rasserenatrice e consolatoria dell'arte. Ma si afferma anche, in questo contesto, e più in profondità, una nuova visione estetica che travalica la concezione dell'arte come sovrumana distrazione dalla vita e instaura, utopicamente, una dimensione estetica collettiva: appunto, «la poésie doit etre faite par tous. Non par un»" (Filippo Tommaso Marinetti, «Teoria e invenzione futurista. A cura di Luciano De Maria», Milano, Mondadori, 1983: pp. XC-XCI).
Cent’anni fa, nell’estate del 1920, in un’Italia ancora stremata dalle conseguenze della Grande guerra e agitata da acutissime tensioni sociali, gli operai metalmeccanici scesero in lotta per ottenere migliori condizioni di lavoro, orari più contenuti e aumenti salariali. Non era certo la prima volta dopo la fine del confitto mondiale: non erano mancate né conquiste significative, prima fra tutte quella d’orario di otto ore, né sconfitte brucianti, come quella subita dagli operai della FIAT dopo il cosiddetto “sciopero delle lancette” dell’aprile del 1920, in cui la posta in gioco era quella delle regole della disciplina in fabbrica. Ora, facendo tesoro anche di quella sconfitta, si trattav» della lotta" (Aldo Agosti, «Occupazione delle fabbriche: tra mitizzazioni e occasioni mancate», 21 settembre 2020, sito web della Fondazione Feltrinelli).
Esemplare senza invio autografo: € 900
"«Gli Indomabili» rappresentano la vetta suprema di Marinetti prosatore «tradizionale»: da consumato allegorista egli dispiega in quest'opera il virtuosismo di uno stile maturo, non per nulla passato attraverso le più varie esperienze, uno stile a più registri, ora diretto, immediato, ora letterario e prezioso; ora intinto di spezzature brutali, ora soffuso di musicali delicatezze. (...) La prosa degli «Indomabili» regge il confronto con la miglior prosa d'arte del tempo. In un'isola vulcanica, sotto il cocente sole tropicale, un centinaio di uomini incatenati, gli Indomabili, nudi ma «irti di punte come istrici», e cinti di cosciali, frontali e collari di ferro, giacciono in una fossa guardati a vista da carcerieri negri museruolati. Ferocia, sangue, violenza sono gli attributi di questi uomini-belve che vengono nutriti dai carcerieri negri con pezzi sanguinolenti di bufali e pecore squarciati al momento e che gli Indomabili abbrancano a volo con la punta del frontale. (...) Col declinare del sole la furia belluina degli Indomabili s'acquieta: essi vengono liberati dai negri, ai quali, a loro volta, viene tolta la museruola dai Cartacei, signori dell'isola. (...) Gli Indomabili vengono condotti, come ogni sera, nell'«ombra affascinante e materna dell'Oasi». (...) Si giunge infine al Lago della Poesia e del Sentimento, dove gli Indomabili e i loro carcerieri si bagnano, mondandosi dai resti della passata ferocia. (...) Continuando il cammino gli Indomabili giungono alla città dei Cartacei. Il romanzo cambia registro e assume coloriture avveniristiche. (...) La città è in subbuglio: ferve la rivolta dei fluviali che si oppongono ai cartacei, loro dominatori. Mirmofim, uno degli Indomabili, si pone a capo dei Fluviali: ma il fiume rivoluzionario travolge gli Indomabili che, per salvarsi, sono costretti a fuggire attraverso l'Oasi e a tornare all'arsione della loro fossa dove giaceranno di nuovo incatenati" (Filippo Tommaso Marinetti, «Teoria e invenzione futurista. A cura di Luciano De Maria», Milano, Mondadori, 1983: pp. LXXXIII - LXXXVI).
"«Gli Indomabili» vengono pubblicati nel '22, dopo quella che potremmo denominare la delusione politica del '20, conclusasi con le dimissioni di Marinetti dai Fasci di Combattimento. Si assiste allora, nell'opera, a un ritorno del pessimismo sociale giovanile e, parallelamente, all'accentuarsi della funzione catartica, rasserenatrice e consolatoria dell'arte. Ma si afferma anche, in questo contesto, e più in profondità, una nuova visione estetica che travalica la concezione dell'arte come sovrumana distrazione dalla vita e instaura, utopicamente, una dimensione estetica collettiva: appunto, «la poésie doit etre faite par tous. Non par un»" (Filippo Tommaso Marinetti, «Teoria e invenzione futurista. A cura di Luciano De Maria», Milano, Mondadori, 1983: pp. XC-XCI).
Cent’anni fa, nell’estate del 1920, in un’Italia ancora stremata dalle conseguenze della Grande guerra e agitata da acutissime tensioni sociali, gli operai metalmeccanici scesero in lotta per ottenere migliori condizioni di lavoro, orari più contenuti e aumenti salariali. Non era certo la prima volta dopo la fine del confitto mondiale: non erano mancate né conquiste significative, prima fra tutte quella d’orario di otto ore, né sconfitte brucianti, come quella subita dagli operai della FIAT dopo il cosiddetto “sciopero delle lancette” dell’aprile del 1920, in cui la posta in gioco era quella delle regole della disciplina in fabbrica. Ora, facendo tesoro anche di quella sconfitta, si trattav» della lotta" (Aldo Agosti, «Occupazione delle fabbriche: tra mitizzazioni e occasioni mancate», 21 settembre 2020, sito web della Fondazione Feltrinelli).
Esemplare senza invio autografo: € 900