Ottobre 1969 a Monaco di Baviera: apre l'Aktionsraum 1. Una fabbrica dismessa diventa area di lavoro creativo, un luogo di sfruttamento si trasforma in centro di invenzione e comunicazione. Durò…
Superfici tissurate, textures, tessiture. S’è inaugurata il 10 ottobre a Brescia una mostra di Ugo La Pietra (Galleria E3, via Trieste 30) con suoi lavori del 1966/1968, “le strutturazioni tissurali”.
C’è il disegno che fa da prototipo al poster della mostra del 1966 alla Galleria Flaviana di Locarno, una immagine simile a quella che verrà riprodotta nello stesso periodo su una cartolina e un francobollo: mezzi per comunicare un’idea maturata attraverso diverse esperienze, che affonda le sue radici nella pittura informale. L’action painting aveva messo su tela l’inimmaginabile, aveva dimostrato che un gesto poteva dar luogo a qualcosa che non c’era mai stato prima e non ci sarà mai più. Che la bellezza stava anche in forme che non rispondevano a regole preordinate e ad armonie prestabilite a cui pure si erano conformate, nonostante la rottura con la tradizione, le avanguardie dal futurismo all’astrattismo e oltre.
Credo che la ricerca di La Pietra parta dall’idea di destabilizzare l’ordinaria percezione della realtà, e con essa il sistema di relazioni entro cui siamo abituati a convivere, un sistema in cui le persone sono escluse dalle scelte fondamentali e private della possibilità stessa di opporvisi.
Così la tranquillizzante tessitura di punti viene interrotta da linee, curve, anse, spazi: sorgono forme irregolari non cercate, inspiegabilmente belle: come addentrarsi in un territorio sconosciuto e ricco di sorprese. Questa ricerca si concretizza nella creazione di oggetti inadatti a qualunque uso – o adattabili a usi possibili, ancora da inventare, e la figura del cosiddetto “artista” viene meno.
D’altra parte La Pietra non è propriamente un pittore, e nemmeno uno scultore, non è un architetto, e neanche un designer. Lui ha coniato un nuovo termine per definire l’ambito della propria attività: “operatore culturale”.
Tutti coloro che contribuiscono con le loro azioni e creazioni ad ampliare l’area della coscienza e della consapevolezza nella società in cui vivono sono operatori culturali. Una definizione che distrugge i luoghi comuni intorno all’arte tornando alle sue sorgenti: il pensiero, le relazioni umane, la soluzione dei problemi vitali, la ricerca di un luogo da abitare, la poesia insomma.
I disegni realizzati su carta con inchiostro, matita colorata, carboncino ecc. sono progetti che si realizzano negli oggetti esposti: oggetti in metacrilato trasparente di varie forme: cubi, parallelepipedi, semisfere “tissurati”, cioè disturbati da elementi in essi contenuti o che li incidono o attraversano, a creare relazioni diverse nello spazio che occupano e nella luce che ricevono. Oggetti che non si prestano a nessun uso, ma hanno relazione con il nostro desiderio di inaudito, come i quattro parallelepipedi appesi sulla parete bianca: è un mondo nuovo fatto di luce e spazi cangianti, un luogo reale dove l’immaginazione si trova a proprio agio, libera da condizionamenti.
Mi piace chiamare questa prospettiva l’informale tecnologico: negli anni Sessanta nuovi materiali e tecnologie invadono il mercato e la vita quotidiana, meravigliose trasparenze, luci metalliche, ambienti lunari, tutto sembra andare nella direzione di un ordine perfettamente funzionante, in cui vige l’efficienza, e dove ogni cosa sta al proprio posto, ogni persona ha il proprio ruolo a garantire l’intero meccanismo. Ma i bisogni reali con la loro complessità vengono a turbare l’ordine perfetto, il sistema costituito dei bisogni indotti, come la massa di colore si spiaccica sulla tela schizzando esplodendo in ogni direzione. Solo che qui non ci sono esplosioni ma sottili deragliamenti, sbavature, “progressioni” all’interno degli oggetti, compenetrazione di ordine e disordine. E l’eleganza di Ugo che sfoggia all’inaugurazione della mostra un morbido e tradizionale cappello arabo.
Poi la ricerca si svilupperà sempre più verso la dimensione sociale, intervenendo direttamente sullo spazio urbano: le immersioni, il sistema disequilibrante, il rapporto interno/esterno e così via. Destabilizzare per restituire alla persona la necessità di cercare il proprio equilibrio, il proprio luogo la propria strada la propria dimensione, fuori dagli schemi proposti e imposti attraverso i mezzi di comunicazione, giornali, televisione, musica, cinema, arte. Ecco perché oggi Ugo va riscoprendo e reinventando in oggetti nuovi antichi materiali e tecniche: non vai da nessuna parte se non sai da dove vieni.
(Nella stessa direzione andava Pasolini, che proprio in quel periodo identificava il processo sociale attraverso il quale le classi popolari sarebbero state deprivate della propria cultura in cambio di subculture funzionali al consumismo, la spaventosa mutazione antropologica che prosegue anche oggi, contro cui lui si dichiarava “una forza della tradizione”).
Operatori culturali unitevi.