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Ci sono parole che si svuotano di senso mano a mano che ne cresce l’uso. Una di queste parole è “arte”. La troviamo ovunque ma non significa più nulla. E infatti molti la scrivono con la maiuscola, con effetto irresistibilmente comico: Arte, Artista. La maiuscola vorrebbe aggiungere un significato che nella parola non c’è più. Una certa dignità una certa altezza un’aura misteriosa e sacra, tutte cose che hanno abbandonato quella parola che rimane in bocca e sulla pagina come un sacco vuoto. La bellezza il gusto la poesia sono scappate dalla parola arte. Credo siano scappate anche da molti quadri e sculture, forse anche da tutti i capolavori sparsi nei musei del mondo

Sarà che non ho soldi per comprarmi la Gioconda – ma nemmeno un misero Boccioni, un De Chirico, un Pollock – che la mia collezione è andata sempre più specializzandosi in frammenti, quelle cose non finite e buttate lì, bozze per lavori o nate per caso, fatte per sé o per far felice un’amante, qualcuno per cui quello contava, momenti privati, una idea improvvisa, una immagine senza scopo, qualcosa che viene e quasi non si pensa, destinato al cestino, all’oblio o all’archeologia. 

Per esempio adesso guardo questi tre disegni di Pablo Echaurren, pubblicati nel 1977 su Lotta Continua. Pablo, quello che ha la collezione di libri futuristi più ampia al mondo. Uno che non è mai stato artista, magari gli farebbe piacere dirgli che lo è ma non lo è. Ha scritto e disegnato tutta la vita tutti i giorni, non è un artista è uno sgobbone della madonna. Ecco qua la pipa di Lama, la pipa parlante e sbuffante simbolo di tutti i placidi comunisti della lippa che già allora avevano intrapreso la strada che avrebbe svuotato di senso fino a oggi tutte le bandiere, i colori le felci e i mirtilli.

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La pipa di Lama. Disegno/collage di Pablo Echaurren per Lotta Continua, 1977

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Una pipa pensante che pensa le frasi della politica che si è fumata il cervello del parlante che bisognerebbe riempire di erba per non sentire quell’odore insopportabile di tabacco maschilità austerità. Questa pipa allude a una storia del 17 febbraio 1977, quando Lama tiene un discorso all’università di Roma. Era l’epoca dei sacrifici che – come oggi – devono fare quelli che lavorano. Lama parlava e la gente rideva: una cosa mai vista. Quello inveiva e le risposte erano slogan del tipo «Lama non l’ama più nessuno», «i lama stanno in Tibet». Più si incazzava e più suscitava riso. Si aspettava che gli dessero del reazionario o del fascista, allora si usava così, e invece semplicemente lo consideravano un cretino. Nanni Balestrini commemorerà questo happening con una poesia che alterna tre righe del palloso discorso a una con uno slogan (La signorina Richmond considera che i lama stanno in Tibet, in Le ballate della signorina Richmond, Roma, Cooperativa Scrittori, 1977; pp. 68-73) .

echaurren-scemo-600L’arma dell’ironia. Tutta l’ironia del Movimento 77 si può sintetizzare più che nel verso indiano (ea ea ea, ea ea, ea eh – spesso condito da un «ué» finale) nello slogan – ma che slogan, era un urlo che veniva dal cuore, una nenia sacra che illuminava lo spirito – “Sceeemo Sceeemo“.
Il bersaglio era di volta in volta il sindacalista, il leader sessantottino, o più semplicemente il tipo noioso che parlava sempre in assemblea. Scemo era l’arma letale diretta contro chiunque credesse di avere la verità in tasca, la linea eccetera. 

Lo scemo che Pablo fa gridare all’indirizzo dell’uccellino Woodstock seduto sul pianofortino dice tutto: l’icona linusiana, la cultura moderata e brillante très chic e salottiera è bersaglio più difficile da centrare che non i beceri reazionari. Le note musicali addolciscono il grido ma ne aumentano la potenza destrutturante: era proprio così, si cantilenava «sceeemo» serenamente in armonia con l’universo. L’ironia demistifica e defeticizza, fa bene alla salute.

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12 marzo 1977. Barricate a Bologna. Fotografia pubblicata su L’Unità, numero unico, foglio del movimento, 8 luglio 1977

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Infine l’immagine più struggente che riassume l’inizio e la fine. E’ una immagine che ricorda il 12 marzo 1977 a Bologna. In quei giorni fu ucciso un ragazzo, Francesco Lorusso, e la città fu teatro di scontri violentissimi. Furono svuotate armerie, asssaltati negozi e ristoranti. C’erano barricate ovunque, pallottole, sassi, bottiglie incendiarie. E su una barricata un ragazzo suonava il pianoforte. Suonava Chopin mentre il casino immenso montava. E lui con la sua persona era l’immagine di quel nuovo movimento che voleva cambiare la vita prima che il mondo. Si era messo là a dire come erano belli quelli che si ribellavano, che le cose così come stavano si potevano cambiare. Poi quel ragazzo che si chiamava Antonio Mariano e aveva 23 anni, morì alla fine dell’estate per un incidente d’auto. Il disegno Pablo lo esegue dopo la sua morte, commemora la sua morte. Il linguaggio nuovo e incomprensibile e il suono che più non si alzerà. Anche il 77 era finito con tutte le sue storie. Non se ne parlò più. Rimangono questi segni più vivi di tutte le opere d’arte del mondo.

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Disegno di Pablo Echaurren per Lotta Continua, 1977

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Io questi frammenti li volevo per me ma Pablo non me li ha dati. Erano parte di un affare già concluso e non si poteva fare diversamente. Però generoso com’è gli dispiaceva di lasciarmi l’amaro in bocca e così mi ha regalato un bellissimo disegno che vale molto di più di queste tre cose. Un disegno per così dire “finito”, un’opera non commissionata, fatta all’epoca per sé senza altro scopo che l’arte. Come dirgli che io non volevo un’opera ma solo un pezzo, non volevo la sua arte ma il pezzo di carta ignobile e fottuto che nessuno calcola e passa inosservato, che io amo quella nobiltà oscura, quella bellezza che non è più di nessuno e devi andare a prenderti. Che in un mondo senz’Arte né Parte restava solo la poesia e io nella mia mania potevo illudermi che possedendola anche ne fossi come compreso e riamato.

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Risate Rosse. Disegno di Pablo Echaurren dalla Casa del Desiderio, Roma, 1977

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