Chi era Elena Ferrario? Sappiamo che fu legionaria dell’associazione delle “Sorelle dei legionari di Fiume e Dalmazia” e che sposata prese il cognome “Amich”, niente altro. Di lei è rimasto questo piccolo album di ricordi, un frammento quanto prezioso della sua vita e della sua persona. Dai frammenti, dai relitti degli anni e dei secoli ricostruiamo una archeologia fuori da ogni scienza o spettacolo museale, una archeologia povera, umana, capace di restituirci la percezione che quell’evento, quella storia personale con tutti i suoi intenti e le speranze, felicità passione disperazione, furono inimitabili, e ancora ci parlano e premono per farsi ascoltare, comprendere e amare.
Quanto fosse prezioso per Elena questo album è evidente già dalla elegante legatura in marocchino, e dalla dedicatoria iniziale che lo inaugura: l’autografo del tenente dell’aviazione Antonio Locatelli, tre medaglie d’oro al valore militare (l’unico nella storia italiana) e fedele compagno di Gabriele D’Annunzio nel volo su Vienna – “il mio leone di guardia” lo aveva definito il Comandante.
La data è il 12 settembre 1920, il primo anniversario della marcia di Ronchi, la cosiddetta Santa Entrata. In quel giorno fra gli altri eventi, venne emessa una serie di francobolli con la testa di D’Annunzio disegnata da Guido Marussig.
Francobolli mitici, che all’indomani del Natale di Sangue gli ufficiali incollavano sulla propria giubba al posto delle stellette, e che nell’album sono sparsi, applicati su due pagine o su varie cartoline, alcuni coi timbri delle Poste di Fiume altri con quelli del Governo Provvisorio.
Quel giorno fece anche la sua prima apparizione la bandiera della Reggenza, rossa, con in mezzo la costellazione dell’Orsa Maggiore nel cerchio dall’uroboro, il mistico serpente simbolo dell’infinito, e il cartiglio “Quis contra nos?”. Nell’album c’è anche, fra le altre, la celebre fotocartolina che mostra il vessillo in corteo.
Elena aveva conosciuto e frequentato Elisa Majer Rizzioli, scrittrice e giornalista impegnata politicamente e socialmente, fascista fondatrice dei fasci femminili, mal sopportata dai dirigenti del partito che fecero di tutto per escluderla dalla tavola imbandita del potere: una donna che nella vita fu sempre dalla parte dei senza potere, instancabile infermiera, promotrice di enti assistenziali e iniziative culturali, come la prima Mostra Femminile d’Arte Pura, Decorativa e di Lavoro, inaugurata al Castello Sforzesco di Milano qualche mese prima della sua morte, il 10 marzo 1930. Fra le altre cose Elisa Majer Rizzioli era anche la presidentessa dell’associazione delle Sorelle dei Legionari, e per l’album di Elena scrive una lunga poesia: Alla città di Fiume.
Non solo. Nell’album Elisa Majer dissemina alcuni rametti e foglie di alloro (lauro, dannunzianamente), quello che fu portato nel corteo di quel 12 settembre, “uno di quei cortei fiumani dinamizzati fino a diventare un misto di soldatesco, di goliardico e di carnevalesco (…). Una fiumana torrenziale di gente che si teneva strettamente abbracciata, da un lato all’altro della strada, formando scaglioni compatti e travolgenti come ondate di una marea demoniaca. E canti e voci scoppianti di ardore e grida di amore e risate fresche e affermazioni imperiose. Donne e uomini commisti, senza riguardo, senza bisogno di conoscersi, contatti di gomiti stretti, quasi a comunicarsi magneticamente un sentimento implacabile che straripava nei guizzi delle persone colte da frenesia…” (Mario Carli, Trillirì, Piacenza, Edizioni Futuriste di Poesia della Società Tipografica Editoriale Porta, 1922; pp. 206-207).
Quei rametti d’alloro erano l’espressione dell’unico governo che non necessita di poteri, il governo della poesia. Per la prima volta nella storia del mondo uno stato veniva amministrato da un poeta, e i primi a sostenerlo furono i dadaisti comunisti berlinesi con Hugo Ball e Kurt Schwitters in testa, che primi fra tutti avevano spedito a D’Annunzio un entusiastico telegramma di solidarietà.
L’ammirazione di Elena per D’Annunzio è espressa nelle immagini del poeta in varie situazioni, nei cortei come nel cimitero di Fiume dopo il Natale di Sangue a commemorarne i caduti. E anche qui è sempre il lauro a ricordare e custodire con la sua delicatezza il meglio di quella storia.
Difficile dire se Elena ebbe un contatto diretto con D’Annunzio. Certamente conobbe la sua prima moglie, Maria Hardouin di Gallese (che si firma indifferentemente Maria D’Annunzio di Monte Nevoso o Maria Gallese D’Annunzio di Monte Nevoso), che le invia una cartolina dal Vittoriale per l’anniversario del 12 settembre 1941 intestandola “Legionaria Fiumana Elena Ferrario in Amich“. Un’altra cartolina di Maria Hardouin, stesso luogo e stessa data, è intestata alla “Legionaria Fiumana Antonietta Ferrario“: madre o sorella di Elena? O cos’altro?
Che a Fiume ci sia stata non solo la partecipazione ma una storia femminile, una idea di emancipazione, è evidente, per esempio, nella figura di Margherita Incisa di Camerana ufficiale degli Arditi, che qui non compare ma a cui fa pensare una fotocartolina dove sorridenti legionarie ridono attorno a un aereo. E chi sa se fra loro non c’era proprio Elena Ferrario.
L’ultima parte dell’album contiene immagini di epoche successive, luoghi della Dalmazia, l’ultima immagine è un disegno che raffigura Spalato. Nel pensiero degli italiani di laggiù, che D’Annunzio aveva fatto proprio, Fiume e Dalmazia non potevano essere separate.
Chiudendo l’album è rimasto qualcosa, sarà il profumo che ancora emana dal lauro essiccato.