“Tu devi sapere che sei giunto in una città pericolosa per i tuoi giovani anni. Qui si fa senza alcun ritegno tutto ciò che si vuole. Le forme di vita più basse e più elevate qui s’alternano non altrimenti che la luce e le tenebre…”.
Quando il 12 settembre 1919 Gabriele D’Annunzio entra a Fiume senza il minimo incidente, mentre gli alleati se ne vanno col rispettoso saluto degli arditi, la città comincia a vivere come in un incantesimo. L’impresa fu da subito un evento senza controllo e senza direzione strategica: (l’annessione all’Italia più che un obiettivo fu un sentimento diffuso che aboliva distinzioni politiche e sociali, ma per chi voleva fare la rivoluzione, o “vivre sa vie” – per usare il motto anarchico della banda Bonnot -, fu un semplice pretesto. Comisso scriveva:
“Era in me un desiderio d’ozio, con nessuna voglia di pensare al mio avvenire e tanto meno a quello del mio paese. Non sapevo nulla della mia famiglia, né dei miei amici, vivevo preso dalla mia ubriaca giovinezza, solo pensavo a scrivere nelle pause d’amore altri di quei poemetti che documentano la mia vita di quei giorni”.
Il 14 settembre esce il primo dei tanti volantini che il Comandante pubblicherà quasi ogni giorno: era questo il mezzo per attuare un disegno mai concepito prima, la narrazione di una impresa realizzata dai tanti “poeti inconsapevoli” che fin dall’inizio il Comandante aveva definito suoi “compagni”.
Poesia era la speranza di vincere il capitalismo mondiale, poesia la convinzione che gli italiani sarebbero insorti per difendere Fiume, poesia la “Carta del Carnaro”, poesia i soldati con i fiori nelle canne dei fucili.
Fra ottobre e dicembre la situazione politica precipiterà e la risposta saranno migliaia di volantini stupendi di parole e colori. La vigilia di Natale del 1920 il governo italiano dà ordine di attaccare la città fino a ottenerne la resa: il Natale di sangue. D’Annunzio se ne andrà il 18 gennaio:
“…Se voi mi amate, se io son degno del vostro amore, quella Fiume voi dovete preservare contro ogni sopraffazione, contro ogni insidia, contro ogni vendetta. Viva l’amore. Alalà!”.
E poi. E poi sono rimasti i ricordi, le parole appassionate di Mary Vitali “la fidanzata dei morti” o quelle disincantate di Giovanni Comisso; l’album di Elena Ferrario con i rametti di lauro sparsi nel primo anniversario di Ronchi e sulle tombe dei caduti delle cinque giornate, o l’enigmatica lettera di Guido Keller a D’Annunzio del gennaio 1922, in cui pare tradita una lunga amicizia e non solo il sogno di una rivoluzione. E poi certe storie nascoste come quella di Albina e Nino, ventiquattro anni lei, diciassette lui, caporale degli arditi. Decidono di morire insieme per non essere nemmeno toccati da un mondo tanto folle e vile. Era il 14 dicembre del 1920. E Fiume è stata forse in fondo solo questo.
* Libri e documenti del nostro archivio fiumano sono stati esposti al Salone della Cultura di Milano, 18 e 19 gennaio 2020, cento anni dopo il commiato di Gabriele D’Annunzio dalla cittadinanza fiumana.