pasolini-iosoIl 14 novembre 1974 Pasolini pubblica sul Corriere della Sera un lungo articolo che farà scandalo:

Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe.. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974… Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi bruciavano), o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killers e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti questi fatti… di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che rimette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere…“. Ecco il testo completo, con la Canzone del Maggio di Fabrizio De André:

Oggi come allora esistono scrittori, giornalisti, filosofi, scienziati ma sono tutti opinionisti. Con modestia riconoscono di non avere la verità in tasca, e il frammento di certezza che si sono conquistati devono centellinarlo per vivere.

Pasolini decise di andare fino in fondo alla sua vocazione di scrittore, non bastava sapere la verità bisognava dirla: mise da parte la letteratura e scelse il cinema. Solo il cinema gli avrebbe permesso di arrivare al pubblico, alla gente che lavorava dalla mattina alla sera e stava ricostruendo l’Italia. Questa gente nei momenti di svago ballava il twist, leggeva rotocalchi e fotoromanzi, andava allo stadio, giocava al calcio, alle carte, correva in bicicletta oppure andava al cinema.

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L’Arengario Studio Bibliografico
Il cinema di Pier Paolo Pasolini, Gussago, 2011
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I film di Pasolini sono piaciuti a tanti critici, studiosi e scrittori ma non alla gente a cui Pasolini voleva parlare. Fu questa la sua tristezza, che divenne feroce a poco a poco. La gente che lavorava li conosceva fin troppo bene i “ragazzi di vita”: erano quelli che li rapinavano, i prepotenti che non stavano alle regole, questa era la loro quotidiana e diretta esperienza: prenderli e riempirli di mazzate, altro che capire le ragioni della loro esistenza.
Pasolini era perfettamente cosciente di questo ma fece lo stesso i suoi film sui disperati della società, sulla spazzatura e i rifiuti, su quello che la gente non ama e non vuole vedere. Era il suo compito e il suo mestiere di intellettuale. Lui la verità la conosceva e la diceva. Pasolini sapeva la verità e la diceva con l’arroganza di chi non può essere smentito. In un famoso film del 1999, Matrix dei fratelli Wachowski, c’è un dialogo che avrebbe potuto scrivere lui:

Matrix è ovunque. E’ intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. E’ quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L’avverti quando vai a lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. E’ il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità” (Morpheus a Neo).

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Salò o le 120 giornate di Sodoma
Locandina originale

A una realtà che continuamente si sdoppia, a una dimensione sociale in cui i dominati sono i primi sostenitori dei loro dominatori, a una cultura sempre più estranea alla vita e al pensiero e sempre più omologata all’efficienza e allo sviluppo tecnologico, Pasolini oppone la realtà irriducibile del corpo. Nel corpo si mantiene in vita la contraddizione, dal corpo l’umanità non può essere bandita. Per quanto ottuso, alienato, disperato, il corpo grida la verità.

Il film Salò o le Centoventi giornate di Sodoma fu l’ultima provocazione e il tema era l’avvilimento dei corpi. Avvilimento perpetrato nel solenne rispetto dei regolamenti e nella affermazione della superiorità dell’intelletto. Forse mai in un film la finzione e la vita furono tanto vicine, al punto che gli attori si rifiutavano di eseguire certe scene. Pasolini voleva fare del male a quel pubblico che si ostinava a non capire, che viveva come se la morte e il dolore non esistessero. Quel pubblico che non si accorgeva, stordito dalla possibilità di consumare, che a poco a poco in cambio di una subcultura gli si voleva portare via il pensiero.

Oggi noi vediamo la realtà della scuola. L’esclusione delle classi popolari e medie dalla cultura, dalla consapevolezza della propria storia, sta avvenendo in Italia con la progressiva trasformazione della scuola pubblica in area di parcheggio per i futuri lavoratori e disoccupati. L’intellettuale del futuro sarà il prodotto confezionato di pochissime scuole private, come è già avvenuto, per esempio, in America e in Inghilterra. Come Pasolini aveva previsto, le subculture hanno preso il posto lasciato vuoto dalla scuola, non sappiamo se migliori o peggiori. Pasolini si sentiva “una forza del passato” perché nel passato, nella cultura che vi si esprime, sono conservate tutta la complessità e le contraddizioni della vita contro ogni semplificazione e riduzione a formula. La grande e terribile “mutazione antropologica” comincia proprio dalla sottrazione di questa ricchezza.

Questa intervista del 1975, è stata realizzata durante le riprese del film Salò o le 120 giornate di Sodoma:

This Post Has 2 Comments

  1. giuliodemartino

    Mi sembra davvero tempestivo e opportuno questo “ritorno a Pasolini” pochi giorni dopo la scomparsa di Antonio Tabucchi. E’ proprio il ruolo critico dell’intellettuale – nella cultura, nell’arte, nella politica – che si è smarrito in Italia. Morti Sciascia e Pasolini, scomparsi Fellini e Visconti resta il legalitarismo democratico e costituzionale di Travaglio, di Zagrebelski e di Paolo Flores d’Arcais. Non basta. Non basta per innescare il cambiamento.
    Giulio de Martino,
    ROMA

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