L’8 giugno 1972, all’inaugurazione della Biennale veneziana, Gino De Dominicis espone tre oggetti sotto il titolo Seconda soluzione di immortalità (l’universo è immobile). Sono tre opere già esibite precedentemente: il Cubo invisibile (1967), rappresentato da un quadrato disegnato per terra; la Palla di gomma (caduta da 2 metri) nell’attimo immediatamente precedente il rimbalzo (1968) e una pietra Attesa di un casuale movimento molecolare generale in una sola direzione, tale da generare un movimento spontaneo della pietra.
Paolo Rosa, un giovane Down, osserva i tre oggetti seduto su una sedia, di fronte agli spettatori. Dalla sua persona emanano calma e serenità. Non è turbato dal pubblico. La relazione fra i tre oggetti è per lui sullo stesso piano della vita quotidiana: ha sperimentato fin dall’infanzia l’essere gettato nella vita, in un mondo fatto non a sua misura, e in quel disagio ha costruito la sua compostezza. Il pubblico osserva e si chiede «Che cosa vuol dire?». Dopo due ore la polizia interviene e chiude la sala, la Procura di Venezia denuncia l’artista per sottrazione di incapace.
Per qualche giorno al posto di Paolo ci sarà una bambina, penoso compromesso che si concluderà con la definitiva chiusura della sala.
La foto. La foto, firmata da Gislind Nabakowski ma attribuita da alcuni allo stesso direttore di Flash Art, Giancarlo Politi, viene scattata durante le due ore in cui l’opera fu visibile. De Dominicis volle poi farne un’opera dal titolo «Foto ricordo», riproducendo la foto ingrandita 51×63 cm., in un unico esemplare da lui firmato al retro. L’opera, esposta al Maxxi nella grande mostra del 2010, fa parte attualmente della collezione Lia Rumma di Milano.
Eppure a ben pensarci l’opera vera non è quell’esemplare unico ma la piccola foto lievemente ingiallita 18×21, cm., quell’istante fermato per sempre con il gesto incredulo dell’anziana signora, senza altro scopo che il ricordo. Quella foto che allora come ora interessava a pochissimi, destinata a scomparire negli anni dopo la pubblicazione su qualche giornale, seguendo il destino delle cose marginali, la sorte di tutto quello che è troppo fragile, troppo piccolo, troppo poco appariscente.
Adesso questa foto è mia grazie a un amico libraio che l’ha scovata: avrebbe potuto guadagnare un bel po’ di più dandola ad altri ma l’ha data a me. A me che mettendoci tutto quel che avevo non arrivavo certo alla cifra spendibile da un raffinato collezionista. Anche questo è un mistero: chi non lo sopporta si chiede «che cosa vuol dire», chi ci convive «che cosa ho da imparare». Ne sarei persuaso oggi – sarebbe stata possibile l’apertura alla felicità e al linguaggio dell’amicizia – se non avessi avuto Emma? Bho.
Di questa immagine avevo scritto qualche mese fa, con un video di Rai 3 su De Dominicis. Si trova nel blog a questo indirizzo:
http://www.arengario.it/?p=230