Tre anni fa pubblicavo su questo blog un breve articolo a commento dell’opera Seconda soluzione d’immortalità di Gino De Dominicis: Che cosa vuol dire? Brevemente: L’8 giugno 1972, all’inaugurazione della XXXVI Biennale veneziana, Gino De Dominicis espone tre oggetti sotto il titolo Seconda soluzione di immortalità (l’universo è immobile). Sono tre opere già esposte precedentemente: il Cubo invisibile (1967), rappresentato da un quadrato disegnato per terra; la Palla di gomma (caduta da 2 metri) nell’attimo immediatamente precedente il rimbalzo (1968) e una pietra Attesa di un casuale movimento molecolare generale in una sola direzione, tale da generare un movimento spontaneo della pietra. Paolo Rosa, un giovane Down, osserva i tre oggetti seduto su una sedia, di fronte agli spettatori. E’ subito scandalo, e nei giorni successivi al posto di Paolo c’è una bambina. Questo non ferma la Procura di Venezia: la sala viene definitivamente chiusa e l’artista viene accusato di sottrazione di incapace. Verrà assolto “perché il fatto non sussiste” soltanto nell’aprile del 1973.
Ebbene l’unica testimonianza di quelle due ore è la famosa fotografia di Gislind Nabakowski che ritrae Paolo Rosa mentre un’anziana signora si sporge nell’atto di togliersi gli occhiali. Nell’articolo sottolineavo quel gesto maleducato, osservazione che altri avevano fatto – per esempio Achille Bonito Oliva (vedi il catalogo Gino De Dominicis l’immortale, Milano, Electa, 2010; pag. 148).
L’anno successivo il mio amico e collega libraio antiquario Giorgio Maffei trovava un esemplare della fotografia e conoscendo il mio interesse per tutto quello che ha relazione con la sindrome di Down me la girava rinunciando a un bel guadagno. Pubblicavo a quel punto un articolo che approfondiva la storia della foto e dell’opera: Arte e sindrome di Down. Dopo qualche tempo ricevetti una e-mail dall’autrice della foto, Gislind Nabakowski, ed ebbi con lei un lungo carteggio digitale ricco di altre informazioni, a cominciare da un particolare che contraddistingueva la fotografia in mio possesso, un particolare che senza la preziosa osservazione e la puntigliosità di Gislind non avrei mai notato, come non l’aveva notato Giorgio: i cartelli col titolo delle opere erano stati cancellati. L’immagine originale, pubblicata sui giornali, reca ben visibili i cartelli, come anche la stampa in formato 51×63 cm. della collezione Lia Rumma, firmata e titolata da De Dominicis Foto ricordo: per quale ragione l’immagine era stata così manipolata?
Prima di rispondere a questa domanda, voglio però dire di un’altra fotografia, finalmente acquisita dopo molte ricerche – ed era per me il completamento della storia che sta al di sopra e non dietro quest’opera di De Dominicis: la fotografia di Giorgio Colombo che ritrae l’installazione per così dire “ufficiale”, quella che fu visibile ai visitatori il giorno successivo, il 9 giugno 1972, in cui la sedia è occupata non da Paolo Rosa ma da una bambina in età prescolare.
Una fotografia che messa accanto a quella di Gislind ritrae contemporaneamente all’installazione di De Dominicis l’atmosfera densa di scandalo e ipocrisia di quei giorni, quando l’opera di un artista aveva spietatamente obbligato il pensiero e il gusto convenzionali a misurarsi con la realtà della disabilità, non più nascosta come cosa pietosa o immonda ma esibita come opera d’arte.
La bambina di Giorgio Colombo pare una bambolina inanimata e corrucciata (a me ricorda un po’ la splendida Viperetta di Antonio Rubino), la prospettiva è surreale, volutamente sfalsata e sfuggente, quasi a dire che tutto quello che stai guardando non è vero. E’ una immagine che contrasta fortemente con quella di Gislind Nabakowski, in cui Paolo Rosa guarda il pubblico con grande serenità, come farebbe un maestro Zen. E poi c’è il mistero della signora con l’occhiale levato. A questo punto posso rispondere alla domanda: qual è la ragione della manipolazione? Che senso aveva cancellare i titoli delle opere?
Penso che il potere delle immagini sia immenso. Più di mille parole una sola immagine comunica il senso vivo della realtà. Ma con la stessa intensità con cui trasmettono il vero le immagini possono anche mentire. E non è che mentire sia di per sé disdicevole. Si può mentire per fare del male come del bene, e può accadere che la verità si faccia perfetto strumento di perfidia e prepotenza.
Per me, adesso che so della contraffazione, la signora stava semplicemente e onestamente leggendo i titoli delle opere. Cancellando il cartello, il contraffattore voleva invece che non esistesse alcun dubbio sul senso di quel gesto: un gesto di maleducata incredulità, la rappresentazione plastica del perbenismo borghese.
Tanto i sostenitori della significatività dell’opera che i suoi detrattori avevano perso con le dispute ideali l’occasione di immaginare qualcosa che stava oltre l’orizzonte della razionalità e del gusto convenzionali. De Dominicis non aveva provocato niente e nessuno, aveva solo proposto un altro punto di vista, la disabilità mentale per quanto poteva offrire di indispensabile a unirci tutti e aiutarci a divenire civili. Non era quello il momento adatto, oggi va senz’altro meglio. Domani boh.
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Un grande augurio per lei e per Emma di un Ottimo Anno Nuovo.
Rita Frosini