Questo disegno di Fortunato Depero si trova in un vecchio “album degli ospiti”, uno di quelli in cui si usava lasciare per ricordo due parole, un disegno o una firma dopo una visita. E’ il 2 ottobre 1923: a Como, Palazzo Carducci, si svolge una mostra d’arte collettiva, e Depero espone i suoi arazzi in una sala personale.
Il palazzo è una scuola, l’Istituto Carducci, fondato dall’ingegnere napoletano Enrico Musa. Enrico Musa era molto amico di Mario Radice il pittore astrattista, che insieme ai suoi compagni fraternizzava con i razionalisti del Gruppo 7: astrattisti e razionalisti riuniti intorno alla milanese Galleria del Milione, proprio lì’ sul lago di Como negli anni Trenta avrebbero rivoluzionato l’architettura e l’arte decorativa. Mario Radice lo ricorda affettuosamente: “Enrico Musa è stato uno dei personaggi più importanti di Como, proprio perché ha fondato l’Istituto «Carducci», che è un istituto di scuole serali in cui si insegnano quasi tutte le discipline… L’ingegner Musa ha progettato e fatto costruire esclusivamente a sue spese lo stabile. La mia ammirazione per lui è questa: ha sacrificato probabilmente i due terzi del suo patrimonio per realizzare quest’opera, che è forse unica in tutta Italia.
Lui era di famiglia ricca, era un setaiolo; ma per far questo Istituto ha dato fondo praticamente a tutte le sue risorse. I suoi colleghi industriali, qui a Como, lo ritenevano un matto. Un giorno – molti anni dopo, naturalmente – mia moglie è andata da lui per comprare un taglio di seta. L’ingegner Musa mi conosceva perché io ero amico e quasi coetaneo di uno dei suoi figli, Mario, insieme al quale ero andato sotto le armi nella prima guerra; però non conosceva ancora mia moglie, non l’aveva mai vista. Quando le ha domandato chi fosse, lei gli ha detto: – Sono la moglie di Mario Radice. – Mario Radice, il pittore? – Sì, risponde lei. – Bene, le ha detto lui in dialetto – che la se regorda che a Com mì e il so’ marì sem semper pasà per matt! – E mia moglie, questa frase, non se l’è più dimenticata… È stato l’unico industriale qui a Como a fare una scuola per operai, per povera gente” (Mario Radice, intervista con Angelo Maugeri, 1984).
Il cimelio proviene dal figlio dell’ingegnere pazzo e filantropo Enrico, Elvio, appassionato alla pittura – ma come artista non avrà grande fortuna.
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Il piccolo album lo accompagna dal 20 novembre 1917 al 23 ottobre 1923, e qua e là disordinatamente sono disposti schizzi suoi e del fratello Mario, illustratore e grafico (sue le prime copertine della rivista COMO nata nel 1930), dediche, ricordi, moniti e firme di frequentatori della famiglia e della “Seconda esposizione individuale artistica del pittore Elvio Musa” che si tenne dal 14 novembre al 20 dicembre 1920. Però leggendo con attenzione si scopre che l’album raccoglie anche le firme della prima mostra da lui fatta, nel giugno 1920, di pochi giorni con poche visite. La seconda durerà invece un mese.
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Come è finito nelle mie mani? Ci è finito pagando il dovuto dopo che altri lo avevano rifiutato perché poco commerciabile, e forse perché a volte manca la voglia di capire o non si capisce del tutto. Perché a me quei bicchieri e il fiasco ricordavano le serate che Depero passava a Milano con Gerbino, Totò Rosanigo, Celeste Ravelli e gli altri del gruppo che stava per fare la rivista I GIOVANI, quando erano iperattivi e pieni di speranze, e quei pupazzi che sono la bozza dei balletti meccanici del 1924, e il lago e le montagne messe lì che fanno pensare a Giotto, perché non c’entra niente avere più o meno anni per la modernità. Infine l’idea di quella scuola, come ha detto Radice, per la povera gente, dove si poteva imparare la cosa più importante, affinare i sensi e la mente per percepire la bellezza. – E penso alla scuola di oggi, area di parcheggio per futuri disoccupati o lavoratori al servizio di chi comanderà. Penso a certi licei, ce n’è almeno uno per città, dove i potenti mandano i loro figli, scuole pubbliche ma da sempre private dove si forma la classe dirigente, e alle università dove miserevoli burocrati si succedono senza mai dire senza mai fare niente che somigli a una protesta.
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Meno male che c’è stato l’ingegner Musa, e meno male che c’è stato Depero, e anche Elvio il pittore che non divenne famoso, in questo piccolo album dove rimangono immagini e parole mentre la vita correva via distratta e in fretta.
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Come sempre l’Arengario raffinato custode di nicchie di saperi e culture e vite…….
Gentile Rita, sono felice che ci segua anche attraverso il blog… a presto. Paolo Tonini
Un post bellissimo, per Depero e per l’analisi appassionata di un tempo che non c’è più.
Gentile Tonini buonasera e complimenti per questi splendidi articoli. Sono Giuseppe, ci siamo sentiti qualche volta via mail (lista di libri desiderta) e incontrati l’anno scorso ad Artelibro a Bologna, ricorda? Le chiedevo se aveva possibilità di trovarmi dei libri di Carmelo Bene che mi mancavano (qualcosa ho trovato nel frattempo). Le scrivo approfittando di questo spazio per sapere se verrà mai dedicato qualche rigo al grande Carmelo, tra l’altro interessante non solo per la sua opera ma anche da un punto di vista “bibliofilico”, essendo alcune sue opere ricercatissime e molto molto difficili da trovare come anche lei mi confermò. Ripeto, non mi risulta che ci sia mai stata qualche pubblicazione del genere e a mio parere lei ci riuscirebbe alla grande!!! Un caro saluto e rinnovo i complimenti per il suo lavoro.
Buona estate
Giuseppe
Caro Giuseppe, grazie per il suo messaggio: mi ha fatto venire in mente che fra le foto che ho incasa una ritrae Carmelo Bene nell’Adelchi: sarà l’occasione per un articolo. Ha visto il video in cui Bene recita “Venezia passatista” di Marinetti? L’ho inserito in un articolo che trova nell’archivio. Cari saluti
Paolo Tonini