Fillia ovvero Luigi Colombo fu l’animatore del futurismo a Torino negli anni Venti e Trenta. Pittore architetto grafico poeta era il prototipo dell’artista d’avanguardia. La sua produzione erotica si concentra fra il 1925 e il 1927: Lussuria radioelettrica, La morte della donna, L’ultimo sentimentale, L’uomo senza sesso sono i titoli prodotti in questo periodo. Erano previsti anche: Femmine in smoking, Quarta dimensione del cuore e Subcosciente, che non furono mai pubblicati.
Fra questi L’uomo senza sesso è il più dirompente: c’è tutto, il bel mondo la politica lo sport, l’industria – l’arte non è indispensabile.
Nina Sereni è la donna nuova libera dal moralismo e dalla condanna alla maternità, libera dai modelli imposti di eleganza, educazione e convenienza, libera dall’ossessione dell’uomo compagno di vita e dallo stesso femminismo modello altrettanto imbecille. Se le piace qualcuno si offre, e lo molla quando ne è annoiata: per andare d’accordo con lei un uomo deve semplicemente essere quel che è, l’amore non è fatto di parole ma di carezze – la “tenerezza” fra marito e moglie che il Concilio Vaticano II negli anni Sessanta, superando i moralisti di tutte le risme, ritiene più indispensabile che non far figli. E’ incredibile – ma in fondo neanche tanto – che la Chiesa sia oggi ancora maestra di erotismo: quel vocabolo “tenerezza” solo un idiota può scambiarlo col romanticismo delle telenovelle.
Ma tornando a Fillia e alle sue donne, così veniva descritta la protagonista del suo L’ultimo sentimentale:
“Aveva la magrezza spaventosa di una ballerina russa, l’elasticità fredda del maschio, tutta la modernità delle femmine nuove. Discuteva violentemente, con presunzione brutale, quasi metallica – l’abito sportivo ed il berretto di feltro non ricordavano della donna che qualche forma esteriore” (pag. 7).
Una donna così, se oggi esistesse, sarebbe considerata da tanti uomini e donne una lesbica un po’ stronza: già, sebbene la società abbia prodotto tutti i presupposti materiali per una vita diversa, quelli morali sono ancora tutti da rivedere.
Sulla fascetta editoriale de La morte della donna stava scritto: “L’amore è una stupida limitazione dei sensi – una mancanza di sensualità“. Così la sensualissima Nina passa con olimpica tranquillità, disfacendo diversi letti, da un salotto a una officina a una pista da corsa, sempre a proprio agio e padrona delle proprie scelte, felice secondo tutte le sfumature della vita dai baci alla guida di un bolide o alla dialettica hegeliana.
Poi molti critici chiacchierarono intorno alla sensibilità meccanica di Fillia, al divenire macchina dell’uomo eccetera. In realtà è proprio il contrario: umanizzazione della macchina. Liberi dall’ossessione del sesso faremmo l’amore più spesso e volentieri e ci godremmo la vita in tutti i suoi aspetti, compresi quelli intelligenti:
“L‘ossessione del sesso che ancora grava su larghi strati dell’umanità era nettamente superata in quell’immenso rettangolo d’officina: maschi e femmine non si distinguevano più – il lavoro moderno à diminuito l’importanza della fatica e della resistenza fisica – è un lavoro di attenzione e di precisione – maschi e femmine, vestiti ugualmente di tuta e di calotta nera si confondevano. Vigilavano gli sportelli dei forni, distribuivano i pezzi dei materiali, passavano come macchine indipendenti tra le macchine fisse su rotaie o inchiodate al pavimento“.
Dove è da notare fra l’altro quell’ “à” voce del verbo avere – atavismo e non strafalcione -, recupero e reinvenzione del passato.
Quando la gara in automobile fu vinta Nina pianse per la prima volta nella sua vita.
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