Il libro invidiato da Kurt Schwitters, quello che meglio rappresenta la rivoluzione tipografica moderna oblungo com’è coi suoi bulloni non sta in uno scaffale. Lo si dovrebbe posare su un cuscino, uno di quelli coloratissimi che Depero disegnava per la sua casa d’arte. Pubblicato nel 1927 in collaborazione con l’amico Fedele Azari, Depero futurista “libro-macchina imbullonato” è il fulcro di una raccolta di libri, immagini e documenti originali in cui Depero è protagonista. Il catalogo di questa raccolta, bullonato pure lui, lo presenteremo dal 15 al 17 marzo a Milano, Palazzo dei Giureconsulti, in occasione della mostra Libri antichi e di pregio a Milano, organizzata dall’ALAI Associazione Librai Antiquari d’Italia: saremo allo stand n. 38, ad accogliere gli amici e tutti coloro che avran voglia di farci visita.
C’è per esempio una cartolina con timbro postale del 17 luglio 1915 che Depero spedisce dal Cadore, ritoccata a mano con elementi dinamici: trenta chilometri di marcia per arrivare al fronte e scrivere alla fidanzata Rosetta, poi sposa amatissima per tutta la vita.
Dal tempo della guerra si passa all’ambiente incantato e trasgressivo di Capri, dove Gilbert Clavel aveva fissato la sua dimora. Ci passavano dandies e intellettuali di tutto il mondo fra sedute spiritiche, discussioni sull’arte d’avanguardia, paradisi artificiali e sesso in tutte le salse: è lì che nasce Un istituto per suicidi (Roma, Bernardo Lux, 1918), il libro che riflette quell’ambiente: l’istituto promette una morte la più felice offrendo di sperimentare ogni piacere carnale e intellettuale. Scritto in tedesco e tradotto in italiano da Italo Tavolato erotomane e futurista, Clavel lo pubblica a sue spese con i disegni realizzati dall’amico Depero che ne cura anche l’impaginazione, il formato e la scelta della carta: uno dei primi esempi di moderno book design.
Tutt’altra atmosfera anima un disegno del 1923 tra le pagine di un vecchio “album degli ospiti” [vedi in questo blog l’articolo Dalla mia collezione: Depero, il lago di Como e una scuola]. E’ il 2 ottobre 1923: a Como, a Palazzo Carducci, si svolge una mostra d’arte collettiva, e Depero espone i suoi arazzi in una sala personale.
Il palazzo è una scuola, l’Istituto Carducci, fondato dall’ingegnere napoletano Enrico Musa, una scuola per la povera gente certo, ma dove era possibile imparare la cosa più importante: affinare i sensi e la mente per percepire la bellezza.
Quella bellezza che non stava più a suo agio nei musei ma per strada, nei bar, nelle stazioni, sui cartelli della pubblicità. Un esempio è il manifesto Bitter Campari l’aperitivo del 1928. Ma quale e quanta importanza avesse la pubblicità per l’arte è eclatante nel Numero Unico Futurista Campari 1931, anche questo interamente concepito e disegnato da Depero, con all’interno un suo manifesto sull’arte pubblicitaria “arte viva, moltiplicata, e non isolata e sepolta nei musei”.
Nel 1928 Depero era partito per New York e ci era rimasto un anno con poche risorse, mille sogni e la sola certezza nella qualità del proprio lavoro. Nonostante le difficoltà fu una esperienza entusiasmante e al suo ritorno progettò un libro inaudito, che avrebbe dovuto contenere parole in libertà immagini musica a raccontare le sue impressioni americane. Questo libro non fu mai realizzato ma la traccia di quel progetto è in uno strepitoso specimen: New-York. Film vissuto (1931), con in prima pagina un ritratto fotografico di Depero eseguito da Mario Castagneri.
L’idea dell’arte per tutti, popolare e quotidiana, trova terreno fertile nei nuovi mezzi di comunicazione fra cui la radio: sono del 1934 le Liriche radiofoniche (Milano, Morreale), composizioni parolibere “adatte per la trasmissione a distanza. L’ascoltare non è più unicamente raccolto in un salotto silenzioso e romantico, ma si trova ovunque: per strada, nei caffè, in aeroplano, sui ponti di una nave, in mille atmosfere diverse…”.
Poi verrà l’epoca più triste della storia d’Italia, le leggi razziali e la seconda guerra. E Depero pubblicherà nel febbraio 1943 il libro di cui si vergognerà: A passo romano (Trento, Edizioni di “Credere, obbedire, combattere”). Dopo l’armistizio cercherà di distruggerne quante più copie possibile, motivo che ne spiega l’assoluta rarità.
Vi si esaltava l’italianità fascistissima e muscolare, quella che in una delle composizioni inserite frantumava con i suoi stivali i crani dei nemici. Era un libro orrendo dati l’epoca e i fatti. Eppure la disposizione del testo e la costruzione delle immagini andavano oltre le parole e c’era la leggerezza così crudele e indifferente della poesia a sopravvivere nonostante tutto.