“Lungo il dolce pendio che conduceva alle posizioni inglesi avanzava una foresta semovente – nera, unita, densa, ondeggiante… Andavano avanti, sempre avanti, massa possente, compatta, impossibile a spezzare, sferzata dalla fucileria, crivellata dalla mitraglia, avanzando come una marea nera e pesante che già lambiva le batterie britanniche…” (Arthur Conan Doyle, Come il brigadiere si comportò a Waterloo [Brigadier Gerard at Waterloo, 1903], traduzione italiana di Beatrice Boffito Serra, in: Piero Pieroni e Betty Liberio, Avventura, Firenze, Vallecchi, 1964. Illustrazioni di Leo Mattioli).
Sì, caro Giampiero, la “carica disperata e inane” di cui parli nell’ultimo libro Che profumo quei libri (Firenze, Bompiani Editore, febbraio 2018), è l’omaggio che rivendichi per la tua dedizione, proprio come l’incedere dei veterani della Guardia a Waterloo. “Venite a vedere come muore un soldato di Francia…” urlava il maresciallo Ney in mezzo allo sfacelo brandendo un moncone di spada.
La rifrazione di quella immagine mi ha obbligato a cercare un libro sepolto tra gli scaffali. Un libro di quando ero bambino e mi mettevo nei panni di tutti gli eroi. Fra i racconti di vari autori raccolti sotto il titolo Avventura eccolo quello che cercavo: Come il brigadiere si comportò a Waterloo illustrato da Leo Mattioli, e il profumo era quello ancora, come non fossero trascorsi cinquanta anni. Ma questa è solo una ondeggiante superficie: non sei tanto Narciso da gettarti nel lago. L’immagine vera e propria l’hai rubata a un altro autore, ed è con lui che dialoghi dall’inizio alla fine: reiten reiten reiten…
“Cavalcare , cavalcare, cavalcare. Tutto il giorno. La intiera notte. Il giorno intiero“.
Del resto non hai fatto niente per dissimulare le tue intenzioni, anzi hai abbondato nei riferimenti. Ventotto anni fa, quando mi hai telefonato la prima volta per ordinare dei libri, le truppe digitali non erano ancora arrivate e nemmeno si profilavano all’orizzonte. Vari compagni avevano risposto al tuo addio sputandoti in faccia, non eri granché allegro a quel tempo. Ma c’erano i libri e c’era un gruppo per quanto ristretto di infatuati che si scambiavano informazioni, si incontravano ai mercatini d’antiquariato e a bancarelle dell’usato, sfogliavano cataloghi librari e cacciavano insieme e l’uno contro l’altro le rarità del Novecento…
“Cavalcare, cavalcare, cavalcare.
E il cuore si è fatto così stanco! Così immensa la nostalgia!…“
Non è vero Giampiero? Mentre descrivi uno dopo l’altro libri che hanno segnato la tua vita, ti vedo mentre li sfogli e li sottolinei febbrilmente, mentre li riponi negli scaffali, mentre fai due passi indietro per domandarti dove collocarli e in che ordine. Le orde digitali riproducono le domande capitali “A che serve?” e “Che senso ha?” – e tu che vuoi rispondere?
“Due occhi? Ma per vedere cosa? La notte soltanto, a volte, ci s’illude di conoscere la via. Ripercorriamo forse, dopo ogni tramonto, il cammino conquistato di giorno, a fatica, sotto questo cielo straniero?…“
Il “senso”, il “significato”, la “ragione profonda”; e poi la destra la sinistra e il centravanti, e le arene dove le opinioni danno prova di eroismo… Ma è nei libri, e sia pure mutati di forma, che si incide indelebilmente quel che produciamo ogni giorno tutti insieme e ciascuno con la propria destinazione, più o meno scelta, più o meno terribile, più o meno felice: il senso lo facciamo, come l’amore. Che amore è quello che non si fa? Però: perché certi libri e non altri?
Che libri mai sei andato a riesumare Giampiero? Ti attizzava la rarità? La follia di un prezzo? Il piacere di suscitare invidia? Certo c’è un po’ di tutto questo ma chiunque abbia fra le mani il tuo libro si accorge che da Pascoli allo streap-tease corre il filo sottile dell’amicizia. Di solito la storia che viene raccontata è quella orrenda che tritura gli individui per ogni suprema ragione. Invece ogni reliquia che estrai dal tuo scaffale dice che quella vita lì, quell’autore lì, quella storia, quell’immagine fu inimitabile. E così le avanguardie di ogni genere, le rivolte più timide e disperate le mille forme dell’eros e della bellezza, sono l’espressione di individui che non vanno d’accordo con la storia e lasciano tracce indelebili della loro discrasia. Quelle hai cercato e vuoi condividere. E proprio non riesci a nascondere una certa nausea per la fatuità corrente nel mondo italiano della cosiddetta cultura, preferendo ai salotti la compagnia di Bibi.
Ma se ora i libri spariscono, se al loro posto subentrano milioni manipolabili di bit, non è che il seme di quell’amicizia andrà perduto per sempre? E allora ti viene la tentazione di scagliarti rabbiosamente contro una folla di felici benpensanti, educati moralisti, spensierati cronisti:
“Nel folto dei ranghi nemici si è spinto il signore di Langenau. Solo. Largo gli ha fatto in quel folto attorno attorno il terrore. Ed egli sta ritto, nel mezzo: di sotto al vessillo che, lento, bruciando si va“.
Ma no, che c’entrano quelli? Se chiudi gli occhi già sono spariti. Invece il tempo, quello trascorre anche a occhi chiusi. I libri testimoniano senza pietà che bisogna fare i conti col pensiero della morte. Scrivi: “La carica a cavallo , disperata e inane, che fa da ragion d’essere di questo mio volumetto […] ha forse il sapore di un commiato“, e so che questa non è maniera, ci hai pensato bene a come ordinare la tua carica disperata, un assalto che non ha in sé né odio né furore, lontano dalla storia e dalla sua barbarie, nemmeno lo vedi il nemico, piuttosto… giardini:
“Attoniti sguardi all’ingiro, quasi sognanti, sospinge. Strani, versicolori miraggi! Pensa: “Giardini…”. E sorride. Repente, si avvede che pupille ben fisse lo arrestano. Volti d’uomini. E sono volti di cani stranieri“.
Ricordi per ultimo i tre amici triestini che misero insieme il loro intermezzo di carta, e dici che fa da testamento. Con tenerezza si impara ad amare la vita com’è, e ci vuole un certo stile, un po’ di garbo per ospitare il pensiero della morte senza che il sangue della passione smetta di sgorgare:
“Su loro spronando si scaglia. Ma come alle spalle il cerchio nemico si serra, – ancora giardini…
E le sciabole curve che adesso si avventano a lui, – baleni festosi.
Zampilli che sbocciano in risa nel fiore di una fontana“.
P.S. Ho quasi tutti i tuoi libri e la gran parte con dedica. Questo non ce l’ha. Gliela metto io:
A Paolo che ancora non so
se mi ha voluto bene
oppure no
Immagina sul mercato antiquario del 2118 quanto varrà – e quante illazioni al riguardo!
Nota bibliografica.
Il testo di Rainer Maria Rilke nella traduzione di Vincenzo Errante è tratto dalla Ballata sull’amore e sulla morte dell’alfiere Cristoforo Rilke [Weise von Liebe und Tod des Cornets Christoph Rilke, 1899-1906], in: Opere, Firenze, Sansoni, 1956, settima edizione; pp. 122-123 e pag. 252.
Questo il testo originale:
Reiten, reiten, reiten, durch den Tag, durch die Nacht, durch den Tag.
Reiten, reiten, reiten.
Und der Mut ist so müde geworden und die Sehnsucht so groß…
Man hat zwei Augen zuviel. Nur in der Nacht manchmal glaubt man den Weg zu kennen. Vielleicht kehren wir nächtens immer wieder das Stück zurück, das wir in der fremden Sonne mühsam gewonnen haben?…
Der von Langenau ist tief im Feind, aber ganz allein. Der Schrecken hat um ihn einen runden Raum gemacht, und er hält, mitten drin, unter seiner langsam verlodernden Fahne.
Langsam, fast nachdenklich schaut er um sich. Es ist viel Fremdes, Buntes vor ihm. Gärten – denkt er und lächelt. Aber da fühlt er, daß Augen ihn halten und erkennt Männer und weiß, daß es die heidnischen Hunde sind –: und wirft sein Pferd mitten hinein.
Aber, als es jetzt hinter ihm zusammenschlägt, sind es doch wieder Gärten, und die sechzehn runden Säbel, die auf ihn zuspringen, Strahl um Strahl, sind ein Fest.
Eine lachende Wasserkunst.
(Rainer Maria Rilke)