D'AMICO Tano
(Filicudi, Isole Eolie 1942)
[1973-00-00-LC-01] Adriano Sofri
Luogo: N. D.
Editore: N. D.
Stampatore: N. D.
Anno: 1973
Legatura: N. D.
Dimensioni: 18,6x27,4 cm.
Pagine: N. D.
Descrizione: fotografia originale in bianco e nero, titolata e datata, con timbro dell'autore. Vintage.
Bibliografia: N. D.
Prezzo: € 1500ORDINA / ORDER
Adriano Sofri (Trieste, 1942) è stato tra i fondatori e massimo dirigente dell’organizzazione extraparlamentare Lotta Continua. L’organizzazione, nata nell’autunno del 1969, si scioglierà nel 1976 dopo il Congresso di Rimini mentre il giornale omonimo continuerà le pubblicazioni fino al 1982. Senza svolgere ufficialmente funzioni dirigenziali, Sofri continuerà ad esercitare una influenza decisiva nella eleborazione delle scelte politiche e nell’orientamento del giornale. Accusato di essere il mandante dell’uccisione del commissario Luigi Calabresi, avvenuta il 17 maggio 1972, dovette affrontare una complessa vicenda giudiziaria che si trascinò dal 1988 fino al 2012, anno di decorrenza della pena. Sofri non volle sottrarsi al giudizio pur avendo goduto di periodi di scarcerazione: si dichiarò sempre innocente e non fece domanda di grazia, ma riconobbe la propria responsabilità morale per aver attuato attraverso il giornale Lotta Continua la campagna che indicava in Luigi Calabresi l’assassino di Giuseppe Pinelli. Una responsabilità, va detto, che coinvolge tutti coloro che a quell’epoca ritennero l’uccisione di Luigi Calabresi un atto di giustizia, una risposta all’arroganza del potere, e non, come realmente fu, l’esecuzione di una condanna senza giusto processo.

“La vicenda giudiziaria di Adriano Sofri mette in chiaro non tanto la fondatezza delle accuse e la verità dei fatti, quanto il rapporto fra un individuo e l’istituzione che lo giudica in nome dello Stato: l’individuo, Adriano, chiede la verità alla propria coscienza, mentre lo Stato esige una rappresentazione della verità che confermi la sua propria autorevolezza. L’individuo Adriano sa di essere innocente non avendo comandato né eseguito l’uccisione di Luigi Calabresi, ma non può negare davanti alla propria coscienza il desiderio di vendetta. Il giorno dopo l’omicidio Sofri scrive: «L’omicidio politico non è l’arma decisiva per l’emancipazione delle masse, anche se questo non può indurci a deplorare l’uccisione di Calabresi, atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia» (dall’editoriale di LOTTA CONTINUA, 18 maggio 1972). Lo Stato che lo ha condannato a 22 anni di carcere sulla base di ipotesi e non di prove certe, compie la stessa azione che la campagna contro Luigi Calabresi suggeriva, una condanna senza processo, basata sul consenso di massa: lo Stato per conservare la propria autorità e salvaguardare l’ordine esistente non può permettersi il lusso dell’onestà intellettuale” (Paolo Tonini, 04.02.2024).