D'AMICO Tano
(Filicudi, Isole Eolie 1942)
[1977-05-12-77-01] Il giorno in cui fu uccisa Giorgiana Masi [Agente mascherato da manifestante il giorno in cui uccisero Giorgiana Masi]
Luogo: Roma
Editore: N. D.
Stampatore: N. D.
Anno: 12 maggio 1977
Legatura: N. D.
Dimensioni: 24x30 cm.
Pagine: N. D.
Descrizione: fotografia originale in bianco e nero, titolata e firmata. Stampa di epoca successiva a cura dell'autore (1997).
Bibliografia: Pubblicata per la prima volta in: LOTTA CONTINUA Anno VI n. 106, 14 maggio 1977, pag. 1; e successivamente in: Tano D'Amico, «E' il '77», Roma, I Libri del No, 1978
Prezzo: € 400ORDINA / ORDER
"Roma, 12 maggio. Gli agenti in borghese di Cossiga si mescolano ai manifestanti e sparano. A Ponte Garbaldi viene uccisa Giorgiana Masi" (AA.VV., «Settantasette. Fotografie di Tano D'Amico», Roma, Il Manifesto, 1997; vol. III pag. 19).
"Sì, questa foto è riuscita a vivere di vita propria. Al di là della denuncia vive perché è l ́immagine dell ́agguato. Dello Stato che tende trappole ai cittadini, che governa con l ́inganno, con i morti... è lo Stato di quegli anni” (Tano D'Amico).
"Mi trovo in piazza della Cancelleria, all'angolo con corso Vittorio Emanuele. E' un pomeriggio orrendo di cariche continue, ripetute, molto violente e rimango tagliato fuori posizione rispetto agli altri miei colleghi fotografi. Il ragazzo con i ricci e la tolfa in primo piano è un agente in borghese. Scatto una foto, poi un'altra. Lui se ne accorge e dice al superiore al suo fianco: “Guarda che quello mi ha fotografato”. E il capo gli risponde: “Ma lascia perdere, non vedi che casino... “. Devo essere sincero, non mi sembrò di aver fatto nulla di speciale. I poliziotti infiltrati nei cortei erano la regola. Ma quando vidi Cossiga giurare davanti al paese e al Parlamento che quel giorno non c'erano agenti in borghese, capii che c'era qualcosa che non andava. Qualcosa di molto grave. Mi alzai dal letto e feci il giro dei giornali che conoscevo con quelle foto. Mi accorsi come un paese intero non volesse la verità e l'evidenza delle cose. Ancora oggi mi spiace dirlo. Nonostante le denunce circostanziate anche la stampa più vicina a noi non volle raccogliere le ammissioni esplicite di uomini delle forze dello Stato. Nei corpi armati qualcuno non era d'accordo nell'uccidere delle donne inermi. Mi capitò che degli esponenti della polizia romana, incontrandomi per la strada, cercassero di farmi riflettere. Frasi come: “I nostri colleghi che lei ha fotografato erano maschi e la ragazza uccisa era donna”. Con delle pause insistenti, a sottolineare le parole. Battute ripetute una volta, due. Allora ho cominciato a interrogarmi e tutto mi apparse chiaro: hanno ucciso una donna per non rischiare di colpire un loro collega. Poi anche l'incontro con quell'ufficiale... Un giorno, alcuni mesi dopo l'omicidio, mi trovo in un bar di una centrale piazza di Roma. Un ufficiale in divisa di un corpo armato dello Stato mi saluta e mi chiede: “Come va la questione a cui lei è molto interessato, il caso di Giorgiana Masi? “. Risposi che non avevo purtroppo più avuto modo di seguirla. Sapevo solo che tutto era stato insabbiato, perchè il calibro del proiettile che uccise Giorgiana non era in dotazione alle forze di polizia. Ma questo ufficiale, che evidentemente mi aveva abbordato proprio per imboccarmi, mi rispose: “Non nelle azioni di ordine pubblico, ma i tiratori scelti del poligono di Nettuno si allenano con carabine di quel calibro”. Mi salutò e se ne andò. Lo dissi ai giornali, ma la notizia uscì solo sul quotidiano delle femministe «Donna» e su «Noi Donne». Sai, erano voci senza prove. Ma ancora oggi credo che quelle persone avevano l'intenzione sincera di fare sapere la verità a tutto il paese" (Tano D'Amico, 2005).
"Sì, questa foto è riuscita a vivere di vita propria. Al di là della denuncia vive perché è l ́immagine dell ́agguato. Dello Stato che tende trappole ai cittadini, che governa con l ́inganno, con i morti... è lo Stato di quegli anni” (Tano D'Amico).
"Mi trovo in piazza della Cancelleria, all'angolo con corso Vittorio Emanuele. E' un pomeriggio orrendo di cariche continue, ripetute, molto violente e rimango tagliato fuori posizione rispetto agli altri miei colleghi fotografi. Il ragazzo con i ricci e la tolfa in primo piano è un agente in borghese. Scatto una foto, poi un'altra. Lui se ne accorge e dice al superiore al suo fianco: “Guarda che quello mi ha fotografato”. E il capo gli risponde: “Ma lascia perdere, non vedi che casino... “. Devo essere sincero, non mi sembrò di aver fatto nulla di speciale. I poliziotti infiltrati nei cortei erano la regola. Ma quando vidi Cossiga giurare davanti al paese e al Parlamento che quel giorno non c'erano agenti in borghese, capii che c'era qualcosa che non andava. Qualcosa di molto grave. Mi alzai dal letto e feci il giro dei giornali che conoscevo con quelle foto. Mi accorsi come un paese intero non volesse la verità e l'evidenza delle cose. Ancora oggi mi spiace dirlo. Nonostante le denunce circostanziate anche la stampa più vicina a noi non volle raccogliere le ammissioni esplicite di uomini delle forze dello Stato. Nei corpi armati qualcuno non era d'accordo nell'uccidere delle donne inermi. Mi capitò che degli esponenti della polizia romana, incontrandomi per la strada, cercassero di farmi riflettere. Frasi come: “I nostri colleghi che lei ha fotografato erano maschi e la ragazza uccisa era donna”. Con delle pause insistenti, a sottolineare le parole. Battute ripetute una volta, due. Allora ho cominciato a interrogarmi e tutto mi apparse chiaro: hanno ucciso una donna per non rischiare di colpire un loro collega. Poi anche l'incontro con quell'ufficiale... Un giorno, alcuni mesi dopo l'omicidio, mi trovo in un bar di una centrale piazza di Roma. Un ufficiale in divisa di un corpo armato dello Stato mi saluta e mi chiede: “Come va la questione a cui lei è molto interessato, il caso di Giorgiana Masi? “. Risposi che non avevo purtroppo più avuto modo di seguirla. Sapevo solo che tutto era stato insabbiato, perchè il calibro del proiettile che uccise Giorgiana non era in dotazione alle forze di polizia. Ma questo ufficiale, che evidentemente mi aveva abbordato proprio per imboccarmi, mi rispose: “Non nelle azioni di ordine pubblico, ma i tiratori scelti del poligono di Nettuno si allenano con carabine di quel calibro”. Mi salutò e se ne andò. Lo dissi ai giornali, ma la notizia uscì solo sul quotidiano delle femministe «Donna» e su «Noi Donne». Sai, erano voci senza prove. Ma ancora oggi credo che quelle persone avevano l'intenzione sincera di fare sapere la verità a tutto il paese" (Tano D'Amico, 2005).