VERTUA GENTILE Anna
(Dongo, Como 1850 - Lodi 1926)
Come devo comportarmi? - Libro per tutti
Luogo: Milano
Editore: Ulrico Hoepli
Stampatore: Tip. di S. Landi - Firenze
Anno: 1897
Legatura: legatura coeva in mezza pelle, 4 nervi, titoli e fregi in oro al dorso
Dimensioni: 18,5x12 cm.
Pagine: pp. VIII - 423 (1)
Descrizione: esemplare in ottimo stato di conservazione. Prima edizione.
Bibliografia: Luisa Tasca, «Galatei.Buone maniere e cultura borghese nell’Italia dell’Ottocento», Firenze, Le Lettere, 2004: pag. 224
Prezzo: € 200ORDINA / ORDER
"Per comportarsi convenientemente sempre e con tutti, è necessario essere, fino dai primi anni, educati in maniera, che il parlare e il modo, l'agire non solo rettamente ma con garbo, l'evitare volgarità e villania, sia più che una salda abitudine, una necessità del sentimento; di modo che non vi sia contrasto fra il modo di pensare e l'agire; non vi sia bisogno di vivere, per così dire, due vite; una interna e l'altra esterna, sempre in contesa l'una contro l'altra (...). Educate nell'animo la morale profonda ed elevata che risulta dal principio della solidarietà umana e dà per precetto: Fa tutto ciò che è beneficio all'umanità; non fare ciò che le apporta danno e dolore" (pag. 3).
“Con la comparsa dei manuali di etichetta a metà degli anni Settanta il culto della domesticità cominciò a mostrare segni di cedimento. Esemplare come spia del cambiamento è un capèitolo di «Come devo comportarmi?», dal titolo rivelatore: «il marito non abusi delle virtù casalinghe della moglie»: in esso Anna Vertua Gentile si dilungava a dimostrare come «la monotonia inuggisce e scema l’energia, le oneste distrazioni in casa e fuori fanno poi gustare la quiete e ritornano con novello vigore alle occupazioni domestiche». (...) Secondo la stessa prospettiva vanno condannate «quelle signore, Cenerentole di natura, che non vorrebbero mai uscire, né ricevere visite, né fare nulla di ciò che posssa menomamente alterare le loro abitudini», le quali, anziché frequentare la società, da sole o in compagnia del marito, evitano salotti, teatri e ricevimenti e «hanno fatto della casa un cantuccio ove si crogiolano nella loro pigrizia fisica e mentale»: parole con le quali Anna Vertua Gentile faceva «tabula rasa», o quasi, del culto della domesticità. A scompigliare definitivamente i tasselli del culto della domesticità l’autrice provvedeva nel capitolo sulla signorina, scrivendo che «la così detta società non è certo, come vogliono parecchi, un roveto irto di pruni, né una foresta selvaggia e tutta pericoli, che ad avventurarvisi disarmati è imprudenza e follia». (...) In essa la signorina può dare sfogo al «naturale desiderio di divertirsi», di cui è animata la sua giovane età, «e se le condizioni della sua famiglia le permettono di divertirsi», non abbia timori e «goda in lungo e in largo»” (Luisa Tasca, «Galatei.Buone maniere e cultura borghese nell’Italia dell’Ottocento», Firenze, Le Lettere, 2004: pp. 171-172).
“Con la comparsa dei manuali di etichetta a metà degli anni Settanta il culto della domesticità cominciò a mostrare segni di cedimento. Esemplare come spia del cambiamento è un capèitolo di «Come devo comportarmi?», dal titolo rivelatore: «il marito non abusi delle virtù casalinghe della moglie»: in esso Anna Vertua Gentile si dilungava a dimostrare come «la monotonia inuggisce e scema l’energia, le oneste distrazioni in casa e fuori fanno poi gustare la quiete e ritornano con novello vigore alle occupazioni domestiche». (...) Secondo la stessa prospettiva vanno condannate «quelle signore, Cenerentole di natura, che non vorrebbero mai uscire, né ricevere visite, né fare nulla di ciò che posssa menomamente alterare le loro abitudini», le quali, anziché frequentare la società, da sole o in compagnia del marito, evitano salotti, teatri e ricevimenti e «hanno fatto della casa un cantuccio ove si crogiolano nella loro pigrizia fisica e mentale»: parole con le quali Anna Vertua Gentile faceva «tabula rasa», o quasi, del culto della domesticità. A scompigliare definitivamente i tasselli del culto della domesticità l’autrice provvedeva nel capitolo sulla signorina, scrivendo che «la così detta società non è certo, come vogliono parecchi, un roveto irto di pruni, né una foresta selvaggia e tutta pericoli, che ad avventurarvisi disarmati è imprudenza e follia». (...) In essa la signorina può dare sfogo al «naturale desiderio di divertirsi», di cui è animata la sua giovane età, «e se le condizioni della sua famiglia le permettono di divertirsi», non abbia timori e «goda in lungo e in largo»” (Luisa Tasca, «Galatei.Buone maniere e cultura borghese nell’Italia dell’Ottocento», Firenze, Le Lettere, 2004: pp. 171-172).