NATALINI Adolfo
(Pistoia 1941 - Firenze 2020)
La memoria invece. Tre mostre allo studio Franca Pisani
Luogo: Firenze
Editore: Adolfo Natalini & Studio Franca Pisani
Stampatore: Tipolitografia G. Capponi - Firenze
Anno: 1978 (maggio)
Legatura: brossura
Dimensioni: 29,6x21 cm.
Pagine: pp. 80
Descrizione: copertina illustrata con un disegno di Adolfo Natalini. Volume interamente illustrato con fotografie e disegni. Catalogo e documentazione della mostra «Arredamento a memoria» (Firenze, Studio Franca Pisani, maggio 1978). Prima edizione.
Bibliografia: Gianni Pettena, «Radicals: architettura e design 1960-75», Firenze, Il Ventilabro, 1996: pag. 317
Prezzo: € 350ORDINA / ORDER
"Imparare, fare, insegnare (didattica come arte) sono tutte parti di un processo di educazione permanente che mi coinvolge completamente. Le tracce visibili di questo lavoro sono molto scarse, ma attraverso l'impegno quotidiano si configura lentamente ma con sicurezza la coincidenza tra memoria e progetto, lavoro e scuola, personale e politico. I lavori della serie «La memoria invece» registrano le tracce (anomale) di Borges, del Superstudio, di Frances e Arabella, dei libri e delle amicizie" (Adolfo Natalini, pag. 1).
Sono illustrati 3 progetti:
1. «Le sbarre della memoria - Erinnerungsschielder» (Firenze - Vienna, maggio/giugno 1976): "Ogni anno una persona incide su una sbarra in ottone (rame alluminio) un evento da ricordare. Le sbarre vengono disposte in fila sul muro... La vita privata può divenire pubblica, i ricordi personali possono essere esposti al pubblico... A Vienna, col Superstudio, ho attaccato le mie Erinnerungsschielder al muro della stazione della metropolitana disegnata da Wagner... Questo perché l'arte per la città è fatta di monumenti e non dei gesti, delle paure e delle speranze di quelli che l'abitano. La città ricorda solo i suoi dominatori e i suoi costruttori... Così tutti ricordano il faraone ma nessuno ricorda uno per uno le miglia di schiavi che eressero la piramide. Volevo cominciare a ricordare tutti, uno per uno" (pag. 4).
2. «La cassa della sopravvivenza» (Firenze - Marina di Vecchiano, febbraio '76 / giugno '77): "Una foto dell'interno di un sarcofago di pietra, mostrante i mobili che appartenevano al defunto, trovata in un libro sulla storia dell'arredamento, mi ha messo in moto una serie di associazioni. La prima era quella di usar per la morte gli stessi oggetti usati per la vita. La seconda era quella di vivere in mezzo ad oggetti di pietra: i mobili nella morte si schiacciano alle pareti. La terza era quella di rendere immobili le cose col ricordo: la memoria, come lo sguardo di Medusa, pietrifica. Ho cominciato a scegliere gli oggetti da ricordare; altri mi hanno scelto con la loro semplice presenza per esser ricordati. Li ho ricostruiti come di pietra, in una cassa della sopravvivenza divisa in sezioni da una riscoperta archeologica. Ho sistemato la cassa in diverse stanze, confrontandola con gli altri oggetti e con l'architettura. Infine, su una spiaggia, togliendo la sabbia che la ricopriva, ho scoperto che il tumulo per gli oggetti era uguale al tumulo per l'uomo di cui parlava Loos: «Se in un bosco troviamo un tumulo lungo sei piedi e largo tre disposto con la pala a forma di piramide, ci facciamo seri e qualcosa dentro di noi dice: qui è sepolto qualcuno. Questa è architettura»" (pag. 30).
3. «Quattro case a memoria» (Firenze, settembre 1977): "Il mio lavoro per molti anni è stato d'architettura. Ho disegnato, letto, guardato, costruito (molto poco). Ho descritto con le parole e coi segni molte architetture. Ho provato a ricordarne quattro. Si sono semplificati i rapporti, sono scomparsi i dettagli, ho dimenticato la struttura e i materiali. Riportate sul foglio le architetture non avevano più nulla in comune con le architetture di carta da cui pure erano partite. Le ho ricostruite in refrattario e le ho fatte cuocere. Poi le ho avvolte in panni bianchi legati con lacci e le ho protette, una per una, in cassette di legno. La prima riproduce un'urna greca a forma di casa trovata ad Argos. La seconda è una casa che ho disegnato quando avevo cinque anni. La terza è una casa progettata quando ancora credevo molto nel fare architettura. La quarta è una casa che ho costruito proprio quando pensavo di non far più arechitettura" (pag. 62).
I tre progetti documentano la mostra «Arredamento a memoria»: "Il 9 maggio ho sistemato su tre pareti contigue, a un metro e settanta d'altezza, la mia autobiografia incisa su lastre di ottone, poste di seguito ma con alcuni vuoti per mancanza di ricordi relativi ad alcuni anni. Il 13 maggio ho sistemato una cassa come di pietra con una serie di oggetti come di pietra attraversata da un filo di metallo longitudinale e tre fili di metallo trasversali tirati perpendicolarmente tra le opposte pareti. Il 20 maggio ho sistemato un tavolo di legno molto alto con sopra quattro piccole architetture in refrattario... Stratificando nel tempo la memoria invece della vita, degli oggetti e dell'architettura, la stanza, vista di sbieco dalla porta, rimaneva come l'avevo vista la prima volta" (pag. 76).
Sono illustrati 3 progetti:
1. «Le sbarre della memoria - Erinnerungsschielder» (Firenze - Vienna, maggio/giugno 1976): "Ogni anno una persona incide su una sbarra in ottone (rame alluminio) un evento da ricordare. Le sbarre vengono disposte in fila sul muro... La vita privata può divenire pubblica, i ricordi personali possono essere esposti al pubblico... A Vienna, col Superstudio, ho attaccato le mie Erinnerungsschielder al muro della stazione della metropolitana disegnata da Wagner... Questo perché l'arte per la città è fatta di monumenti e non dei gesti, delle paure e delle speranze di quelli che l'abitano. La città ricorda solo i suoi dominatori e i suoi costruttori... Così tutti ricordano il faraone ma nessuno ricorda uno per uno le miglia di schiavi che eressero la piramide. Volevo cominciare a ricordare tutti, uno per uno" (pag. 4).
2. «La cassa della sopravvivenza» (Firenze - Marina di Vecchiano, febbraio '76 / giugno '77): "Una foto dell'interno di un sarcofago di pietra, mostrante i mobili che appartenevano al defunto, trovata in un libro sulla storia dell'arredamento, mi ha messo in moto una serie di associazioni. La prima era quella di usar per la morte gli stessi oggetti usati per la vita. La seconda era quella di vivere in mezzo ad oggetti di pietra: i mobili nella morte si schiacciano alle pareti. La terza era quella di rendere immobili le cose col ricordo: la memoria, come lo sguardo di Medusa, pietrifica. Ho cominciato a scegliere gli oggetti da ricordare; altri mi hanno scelto con la loro semplice presenza per esser ricordati. Li ho ricostruiti come di pietra, in una cassa della sopravvivenza divisa in sezioni da una riscoperta archeologica. Ho sistemato la cassa in diverse stanze, confrontandola con gli altri oggetti e con l'architettura. Infine, su una spiaggia, togliendo la sabbia che la ricopriva, ho scoperto che il tumulo per gli oggetti era uguale al tumulo per l'uomo di cui parlava Loos: «Se in un bosco troviamo un tumulo lungo sei piedi e largo tre disposto con la pala a forma di piramide, ci facciamo seri e qualcosa dentro di noi dice: qui è sepolto qualcuno. Questa è architettura»" (pag. 30).
3. «Quattro case a memoria» (Firenze, settembre 1977): "Il mio lavoro per molti anni è stato d'architettura. Ho disegnato, letto, guardato, costruito (molto poco). Ho descritto con le parole e coi segni molte architetture. Ho provato a ricordarne quattro. Si sono semplificati i rapporti, sono scomparsi i dettagli, ho dimenticato la struttura e i materiali. Riportate sul foglio le architetture non avevano più nulla in comune con le architetture di carta da cui pure erano partite. Le ho ricostruite in refrattario e le ho fatte cuocere. Poi le ho avvolte in panni bianchi legati con lacci e le ho protette, una per una, in cassette di legno. La prima riproduce un'urna greca a forma di casa trovata ad Argos. La seconda è una casa che ho disegnato quando avevo cinque anni. La terza è una casa progettata quando ancora credevo molto nel fare architettura. La quarta è una casa che ho costruito proprio quando pensavo di non far più arechitettura" (pag. 62).
I tre progetti documentano la mostra «Arredamento a memoria»: "Il 9 maggio ho sistemato su tre pareti contigue, a un metro e settanta d'altezza, la mia autobiografia incisa su lastre di ottone, poste di seguito ma con alcuni vuoti per mancanza di ricordi relativi ad alcuni anni. Il 13 maggio ho sistemato una cassa come di pietra con una serie di oggetti come di pietra attraversata da un filo di metallo longitudinale e tre fili di metallo trasversali tirati perpendicolarmente tra le opposte pareti. Il 20 maggio ho sistemato un tavolo di legno molto alto con sopra quattro piccole architetture in refrattario... Stratificando nel tempo la memoria invece della vita, degli oggetti e dell'architettura, la stanza, vista di sbieco dalla porta, rimaneva come l'avevo vista la prima volta" (pag. 76).