BERTO Giuseppe
(Mogliano Veneto, Treviso 1914 - Roma 1978)
Le opere di Dio
Luogo: Roma
Editore: Macchia
Stampatore: Tip. Ed. Italia - Roma
Anno: 1948 (28 maggio)
Legatura: brossura, sovraccopertina
Dimensioni: 19,8x12 cm.
Pagine: pp. 163 (1)
Descrizione: sovraccopertina illustrata a colori di Carlo Levi e riproduzione della stessa in una tavola n.t., 1 illustrazione al tratto in copertina di Onorato. Prima edizione.
Bibliografia: AA.VV., «Dizionario generale degli autori contemporanei», Firenze, Vallecchi, 1974: pag. 137
Prezzo: € 200ORDINA / ORDER
"Nel ‘46 finisce la prigionia e Berto rimpatria; in quei mesi sottopone a Bompiani «Le opere di Dio». Il manoscritto finisce nelle mani della segretaria di Bompiani, e Berto non sa più nulla del suo manoscritto. Insiste allora con Bompiani, diventando persino aggressivo e insultante. Dopo lunghe insistenze, Berto ha alla fine la tanto agognata risposta: «Le opere di Dio» veniva giudicato «una brutta imitazione dei peggiori americani». Poi, per sua fortuna, Berto conosce Comisso, che gli dà qualche lettera di presentazione per Henry Furst e per Leo Longanesi. Quest'ultimo dimostra interesse per «La perduta gente» e, alla fine, il romanzo trova il suo editore. Longanesi però cambia il titolo del romanzo in «Il cielo è rosso», che è ben accolto generalmente dalla critica, anche se conosce stroncature di un certo peso da parte di Debenedetti, Falqui, e altri. Però, tutto sommato, il romanzo di Berto piace: parte della critica rileva come «Il cielo è rosso» fosse l'unico romanzo italiano che avesse affrontato a dovere il «tema della guerra e della disfatta». Berto osserva inoltre di essersi trovato fra i Neorealisti senza sospettare di farne parte. Ne' 48 vince il Premio Letterario Firenze, grazie a una qualificata giuria che conta i nomi di Momigliano, Montale e Pancrazi. Presso Macchia Berto, sfruttando il successo, pubblica anche «Le opere di dio». Ma ormai i reduci erano tornati e scrivono un po' tutti: il romanzo è accolto da una generale freddezza. Il colpo è ripetuto nel ‘64 su consiglio di Vigorelli, e stavolta va bene. La critica vuole vedere Hemingway a tutti costi dietro la tecnica di Berto. Il quale però fa notare di aver sì e no letto due romanzi di Hemingway. Anche la critica americana però insiste nel confronto, finché Edward Parone, in un articolo sul «Courant» di Hartford, Connecticut, nota finalmente più l'influenza di Steinbeck che di Hemingway. Scritto in pieno Neorealismo, secondo Berto, il romanzo ne rispecchia bene la poetica, assai più de «Il cielo è rosso». Il titolo del romanzo è ricavato dal Vangelo di Giovanni, e si sofferma sull'idea che la vita dell'uomo è sottoposta all'invincibile “necessità”, in forza della quale è scritto nel libro del destino che certe cose accadano".
"La guerra, prima lontana, si avvicina minacciosa alla piccola cascina ove vive una famiglia contadina costituita dalla madre, dal nonno, dal piccolo Nino e da due ragazze, la Rossa ed Effa. Un giorno il vecchio Mangano nota uno strano trambusto in famiglia: si stanno facendo i bagagli per partire e lasciare la casa. Il vecchio chiede il motivo per cui si fanno le valigie. È venuto un militare, gli rispondono, che ha detto che presto sarebbero arrivati gli americani. Effa vuole andare via, verso Nord. Il vecchio non vuole saperne, perché quella è la sua casa, e, americani o no, egli non l'abbandonerà mai e poi mai. Alla fine il vecchio Mangano cede. Si prepara la roba su un carro e si parte. L'idea è quella di arrivare a Castelmonte e poi di lì dirigersi a Pietravalle. Il carro è straripante di masserizie, si caricano persino il maiale e le galline. Lungo la strada il carro è coinvolto in un incidente e viene travolto: il vino si versa sull'asfalto, il maiale grida come un ossesso perché si è probabilmente ferito, le galline si disperdono, tutte le masserizie ammassate sul carro rovinano lungo la scarpata: imprecazioni del vecchio Mangano, gran bestemmiatore degli dèi e degli uomini. Nella confusione che segue succede uno strano fatto, Effa non si vede più. La madre la cerca, gridando e chiamandola per nome: niente! Interviene la Rossa, dicendo di non preoccuparsi: Effa se n'è andata di sua spontanea volontà. Dopo mille dubbi e interrogativi irrisolti sul destino di Effa, la famiglia riprende il suo pellegrinaggio a piedi, in mezzo all'acqua che arriva al ginocchio, con le bestie dietro e il maiale che non ne vuole sapere di camminare. Il vecchio trascina letteralmente il maiale e vanno a finire su un campo minato. Il vecchio Mangano inciampa in un filo teso a terra, e lui e il maiale saltano per aria, perdendo la vita.. La madre accorre trafelata e sconvolta, ma non può far altro che constatare la morte del vecchio Mangano. La scena si sposta su due militari: parlano della guerra; ci si interroga su come finirà: male o bene? I due militari, un soldato semplice e un sergente, sentono lì vicino delle voci; si avvicinano, s'informano di quanto è accaduto e offrono il loro aiuto. Portano i superstiti della famiglia al più vicino campo, e raccolgono anche i resti del povero corpo straziato del vecchio Mangano, che viene seppellito vicino a casa sua. La rossa e la madre vedono di lontano la loro casa bruciare. “Io non capisco perché debbano succedere queste cose”, osserva la madre, che sentenzia: “dicono che è Dio che ci manda questi castighi”. Poi, presa come dal rimorso, vuole andare a cercare la Effa, che non aveva mai capito; affida con mille raccomandazioni il piccolo Nino alle cure della Rossa, e parte" (Enzo Sardellaro).