D'AMICO Tano
(Filicudi, Isole Eolie 1942)
[1979-05-12-7A-05] L'università di Roma dopo gli arresti del 7 aprile
Luogo: Roma
Editore: N. D.
Stampatore: N. D.
Anno: 1979 [12 maggio]
Legatura: N. D.
Dimensioni: 24x18 cm.
Pagine: N. D.
Descrizione: fotografia originale in bianco e nero, titolata e firmata. Stampa di epoca successiva (1990), a cura dell'autore.
Bibliografia: N. D.
Prezzo: € 400ORDINA / ORDER
"La Corte d’Appello di Roma ha demolito il castello accusatorio del 7 aprile attraverso il quale Stato, partiti e poteri si liberarono nel 1979 dell’Autonomia operaia. E mandarono un segnale minaccioso ai movimenti, inchiodati tra l’attacco delle organizzazioni armate da un lato e quello del partito comunista dall’altro. I grandi sostenitori del delirio del procuratore padovano Calogero, del primo pentito, ancorché assassino comune, Fioroni e delle leggi speciali sono stati infatti un drappello di magistrati, avvocati, giornalisti e dirigenti comunisti, con il codazzo ossequente dell’UNITA' e di REPUBBLICA. Nulla di quell’ipotesi accusatoria, che si voleva storia d’un decennio, dal 1969 al 1979, è rimasto in piedi. Non l’accusa di tentata insurrezione armata; la quieta voce del giudice Verrone ha detto quel che tutti sapevano, e cioè che «il fatto non sussiste». Non la celebre «O», l’organizzazione per eccellenza che, ora sotto una sigla ora sotto un’altra, avrebbe diretto occultamente l’eversione armata sotto la guida d’un pernicioso intellettuale, Antonio Negri, a partire da Potere operaio fino alle Br. [...] Uscite dalla scena giudiziaria, come si doveva, le figure dei cattivi maestri, delle cattive idee, del discorso eversivo: la Corte ha giudicato sui fatti. Ha sempre giudicato bene? Forse no. Sorprendente la condanna di Mario Dalmaviva o di Augusto Finzi. Ma questi sono errori, che vogliamo credere riparabili, in un processo che nel suo insieme ha mandato a pezzi 45.000 pagine di istruttorie senza confronti e senza uno straccio di prove, e una sentenza di primo grado che, indifferente agli esiti del dibattimento, ha ripetuto servilmente il rinvio a giudizio. Tutto bene, dunque? Bene, un respiro di sollievo, quella pioggia di assoluzioni, di prescrizioni, il normale uso delle attenuanti, il senso della distanza, di equilibrio, di buon senso che ha impegnato la Corte. Pesante – non piangevano soltanto di felicità gli imputati assolti dopo anni di galera – la constatazione che dunque per quasi un decennio della vita di sessanta persone sono pesate accuse enormi e infamanti, e che alcune di esse hanno inutilmente scontato fino a cinque anni di carcere. La magistratura s’è prestata a punire una estrema sinistra scomoda, con una grevità che ricorda i tribunali fascisti. Un uomo come Luciano Ferrari Bravo, ieri assolto, fu condannato in primo grado a 14 anni e 5 ne aveva già fatti in carcere. Chi glieli restituirà? e i quasi dieci anni di sospensione dall’insegnamento? E agli altri, molti, nelle sue stesse o simili condizioni? Chi cancellerà la mostrificazione di Negri, tale che non fu mai costruita su nessun killer, né politico né comune? Forse l’Espresso, che regalò ai lettori la voce del telefonista delle Br a Eleonora Moro, perché fosse riconosciuta come la sua? Repubblica che ne titolò festosamente l’arresto come capo delle Br a piena pagina? Questa non è stata soltanto una pagina scandalosa della giustizia italiana, come rilevava da tempo Amnesty International. È stata una storia di silenzi, codardie e coperture. L’onorevole Spadolini favorì l’espatrio illegale di Carlo Fioroni e il Parlamento rifiutò di aprire un’inchiesta. Come oggi giace l’inchiesta sulla protezione a lui, latitante di stato, offerta da Andreotti per il Ministero degli esteri" (Rossana Rossanda, IL MANIFESTO, 9 giugno 1987).