BERNARD Carlo
[pseudonimo: Carlo Bernari] (Napoli 1909 - Napoli 1992)
Tre operai. Romanzo
Luogo: Milano
Editore: Rizzoli & C. - Anonima per l'Arte della Stampa, "I Giovani. Collana diretta da Cesare Zavattini - n. 1"
Stampatore: N. D.
Anno: 1934 [febbraio]
Legatura: brossura
Dimensioni: 19,4x13 cm.
Pagine: pp. 211 (5)
Descrizione: copertina con titolo in nero e lettera "R" in vede chiaro su fondo grigio. Esemplare con dedica autografa dell'autore allo storico dell'arte Sergio Ortolani (Feltre 1896 - Cuneo 1949): "A Sergio Ortolani, poeta e scrittore valoroso dell'altra sponda, con sincera e autentica stima, Carlo Bernard, Milano 14/2/34". Prima edizione.
Bibliografia: AA.VV., «Dizionario generale degli autori contemporanei», Firenze, Vallecchi, 1974: pp. 129-130
Prezzo: € 1200ORDINA / ORDER
E' questo, probabilmente, il primo libro pubblicato dalla Rizzoli, fondata nel 1927 con l'acquisizione da Mondadori della rivista «Novella». E' errata pertanto l'informazione riportata da Wikipedia, secondo la quale Rizzoli avrebbe iniziato la pubblicazione di libri soltanto a partire dal dopoguerra.

"«Tre operai», singolare romanzo, scritto a vent'anni, che anticipa la tematica del neorealismo, pur filtrando in un personale e gentile sentimento il vigore dell'impegno che provocò all'autore molte noie con la censura fascista, ispirata dallo stesso Mussolini» (AA.VV., «Dizionario generale degli autori contemporanei», Firenze, Vallecchi, 1974: vol. I pag. 130).

"«Tre operai» è considerato un incunabolo del nostro neorealismo..." (Alberto Asor Rosa, «Dizionario della letteratura italiana del Novecento», Torino, Einaudi, 1992: pag. 60).

"Fra il '30 e il '31, mentre ero sotto le armi approfittando delle soste di caserma e di quelle più lunghe ed oziose in un ufficio del Ministero della Guerra ove ero stato nel frattempo aggregato, rielaborai la prima stesura di un libro sulla vita degli operai napoletani prima dell'avvento del fascismo. Nacque così quel romanzo che con il titolo «Tre operai» doveva apparire tre anni dopo, agli inizi del 1934, mai supponendo che potesse suscitare tanti consensi e tante proteste. Mussolini tempestò il libro di segni rossi e lo consegnò al suo genero, Ciano, perché provvedesse. Fu così che la polizia mi prese sotto tutela e mi ci tenne a lungo. Ciano, allora ai primi passi della sua carriera, aveva ancora una debolezza per le lettere. Mi disse che non era colpa sua se aveva dovuto prendere provvedimenti così draconiani con una velina ai giornali perché non si occupassero più del mio caso. E preso il mio libro da uno scaffale me lo mostrò: «Vedi - disse - Lui lo ha letto purtroppo e non ha affatto gradito lo scherzo». Ma - protestai a mia volta - vuol dire che mi si vuole affamare? E allora mi si ridia il passaporto; troverò all'estero una possibilità di lavoro senza dover stendere la mano. «Sarebbe troppo facile - obiettò lui - se vuoi nasconderti puoi farlo anche qui. Basta non mettersi in mostra». Cominciò da allora per me un'accorata ricerca di pseudonimi, e ne inventai che ne inventai, da Bernardi, a Siglai, a Caberna, a Beda, sino all'ultimo suggeritomi da Alvaro, e del quale non mi sono ancora stancato. Ma ebbe inizio anche da allora la mia sfortunata fortuna, o fortunata sfortuna letteraria. Se «Tre operai» fosse uscito oggi, avrebbe avuto indubbiamente molte edizioni e molte traduzioni; uscì in un clima in cui chi lo scrisse dové nascondersi, chi lo pubblicò dové giustificarsi, chi ne parlò dové smentirsi o trattenersi, chi non ne parlò fu felice di non averne parlato" (Carlo Bernard, in: Elio Filippo Accrocca, «Ritratti su misura di scrittori italiani», Venezia, Sodalizio del Libro, 1960: pag. 67).

Il destinatario della dedica, Sergio Ortolani, direttore della pinacoteca di Napoli dal 1930 fino alla morte non fu soltanto un insigne critico d'arte ma anche poeta e scrittore (vedi il romanzo «Rufino protomartire», Foligno 1926, e la raccolta di poesie «Selva», Napoli, 1928). La dedica di Bernari al "poeta e scrittore valoroso dell'altra sponda" allude al fatto che Ortolani non volle iscriversi al partito fascista, motivo per il quale, nonostante gli indubbi meriti, gli venne preclusa una carriera dirigenziale presso il Ministero dei Beni Culturali.