BRIN Irene
[Maria Vittoria Rossi] (Roma 1914 - Sasso di Bordighera 1969)
Usi e costumi 1920 - 1940
Luogo: Roma
Editore: Donatello De Luigi
Stampatore: Società Grafica Romana - Roma
Anno: 1944 (giugno)
Legatura: brossura
Dimensioni: 20x12 cm.
Pagine: pp. 261 (3)
Descrizione: copertina illustrata con un disegno in bianco e nero (Enrico Prampolini?) e composizione grafica del titolo in bianco, nero e giallo. Prima edizione.
Bibliografia: Asor Rosa 1992: pag. 95
Prezzo: € 120ORDINA / ORDER
"Questa non vuole né può essere la storia di un ventennio, ma solo un aiuto a comprendere una generazione rumorosa, ingenua e triste che s'illuse di vivere secondo un ritmo eccezionale (...), così esaltata, nel sentirsi libera di ogni vincolo morale, sentimentale e fisico da non avvedersi, se non troppo tardi, di aver perduto la libertà" (pag. 7).
"Irene Brin fu una giornalista di costume e scrittrice, una viaggiatrice, una mercante d'arte e, soprattutto, una donna di grandissimi cultura e stile. (...) Il padre di Irene Brin era un generale di carriera; la madre una donna austriaca di origine ebraica, poliglotta, da cui Irene apprese le lingue (ne parlava correntemente cinque) ed ereditò la passione per l'arte e la letteratura. Già dal 1934, a vent'anni non ancora compiuti, Maria Rossi esordì sulle colonne del quotidiano Il Lavoro di Genova con lo pseudonimo Mariù, successivamente mutato in Oriane in omaggio al personaggio creato da Marcel Proust. Fu in questo periodo che, in occasione di un ballo all'hotel Excelsior di Roma, conobbe Gaspero del Corso, un giovane ufficiale con il quale scoprì di condividere l'intensa passione per la «Recherche», per l'arte in genere e i viaggi. Fu un amore improvviso tanto che i due si sposarono dopo pochissimi incontri. Fu nel 1937 che Maria Vittoria Rossi divenne Irene Brin: lo pseudonimo le fu attribuito da Leo Longanesi, che invitò la giornalista a collaborare al rotocalco settimanale Omnibus, sul quale compariva - novità per l'epoca - una rubrica di cronache mondane scritte con malizia e raffinatezza, lontane dallo stile agiografico dell'epoca. Fu un'attività che Irene Brin svolse contemporaneamente ai suoi frequenti viaggi con il marito: viaggi che portarono la coppia a intrecciare rapporti con la migliore società cosmopolita. Nel 1943 i due coniugi tornarono a Roma. Formalmente dopo l'armistizio Gaspero del Corso era un disertore e quindi si nascose in casa, insieme a una quarantina di altri ufficiali e soldati sbandati per evitare i rastrellamenti tedeschi. In tale periodo le uniche entrate erano costituite dai compensi per le traduzioni di Irene, peraltro sempre più scarse via via che Irene smetteva di lavorare per gli editori che collaboravano con gli occupanti. Fu così che la Brin iniziò a vendere i propri regali di nozze: a partire da una borsa di coccodrillo, per poi proseguire con stampe e disegni, e non da poco, dato che parliamo di artisti quali Picasso, Matisse, Morandi... Poco dopo Irene Brin trovò una sistemazione come commessa nella libreria d'arte La Margherita, coadiuvata dal marito che sotto la falsa identità di Ottorino Maggiore le procacciava libri, disegni e clienti. Durante l'attività presso La Margherita si presentò a Irene un'allora sconosciuto artista, Renzo Vespignani, con un nutrito portafoglio di disegni. Irene e Gaspero comprarono in proprio i lavori e li rivendettero in brevissimo tempo, confermando così la propria vocazione di mercanti; fu questo il loro primo acquisto e anche la prima vendita per Vespignani. Nel 1946 la coppia affittò un locale in Via Sistina, nel quale nacque la Galleria l'Obelisco di Gaspero e Maria del Corso, che in breve tempo assunse un'importanza primaria nel panorama culturale della capitale. Nell'immediato dopoguerra Irene Brin iniziò una lunga collaborazione con La Settimana Incom illustrata di Luigi Barzini Junior, la versione a rotocalco del più famoso cinegiornale del dopoguerra. Su quelle pagine Irene, con la scusa di dispensare alle lettrici consigli di stile, portamento, vita sociale, moda e così via, produceva dei minuscoli pezzi letterari ricchi di ironia e citazioni sotterranee per un pubblico colto e raffinato. I suoi articoli comparivano con lo pseudonimo di Contessa Clara Ràdjanny von Skèwitch, personaggio che Irene impersonava fingendo d'essere un'anziana, aristocratica esule da un non meglio precisato paese d'oltrecortina, citando qua e là episodi riguardanti propri incontri con altezze reali, scrittori celeberrimi. Così, alla voce sonno raccontava di una conversazione sull'insonnia tra Bergson e Proust; mentre alla voce taxi richiamava un incontro con un'amico d'infanzia, esule a Parigi, che sbarcava il lunario con tale mestiere" (testo tratto da Wikipedia).
"Irene Brin fu una giornalista di costume e scrittrice, una viaggiatrice, una mercante d'arte e, soprattutto, una donna di grandissimi cultura e stile. (...) Il padre di Irene Brin era un generale di carriera; la madre una donna austriaca di origine ebraica, poliglotta, da cui Irene apprese le lingue (ne parlava correntemente cinque) ed ereditò la passione per l'arte e la letteratura. Già dal 1934, a vent'anni non ancora compiuti, Maria Rossi esordì sulle colonne del quotidiano Il Lavoro di Genova con lo pseudonimo Mariù, successivamente mutato in Oriane in omaggio al personaggio creato da Marcel Proust. Fu in questo periodo che, in occasione di un ballo all'hotel Excelsior di Roma, conobbe Gaspero del Corso, un giovane ufficiale con il quale scoprì di condividere l'intensa passione per la «Recherche», per l'arte in genere e i viaggi. Fu un amore improvviso tanto che i due si sposarono dopo pochissimi incontri. Fu nel 1937 che Maria Vittoria Rossi divenne Irene Brin: lo pseudonimo le fu attribuito da Leo Longanesi, che invitò la giornalista a collaborare al rotocalco settimanale Omnibus, sul quale compariva - novità per l'epoca - una rubrica di cronache mondane scritte con malizia e raffinatezza, lontane dallo stile agiografico dell'epoca. Fu un'attività che Irene Brin svolse contemporaneamente ai suoi frequenti viaggi con il marito: viaggi che portarono la coppia a intrecciare rapporti con la migliore società cosmopolita. Nel 1943 i due coniugi tornarono a Roma. Formalmente dopo l'armistizio Gaspero del Corso era un disertore e quindi si nascose in casa, insieme a una quarantina di altri ufficiali e soldati sbandati per evitare i rastrellamenti tedeschi. In tale periodo le uniche entrate erano costituite dai compensi per le traduzioni di Irene, peraltro sempre più scarse via via che Irene smetteva di lavorare per gli editori che collaboravano con gli occupanti. Fu così che la Brin iniziò a vendere i propri regali di nozze: a partire da una borsa di coccodrillo, per poi proseguire con stampe e disegni, e non da poco, dato che parliamo di artisti quali Picasso, Matisse, Morandi... Poco dopo Irene Brin trovò una sistemazione come commessa nella libreria d'arte La Margherita, coadiuvata dal marito che sotto la falsa identità di Ottorino Maggiore le procacciava libri, disegni e clienti. Durante l'attività presso La Margherita si presentò a Irene un'allora sconosciuto artista, Renzo Vespignani, con un nutrito portafoglio di disegni. Irene e Gaspero comprarono in proprio i lavori e li rivendettero in brevissimo tempo, confermando così la propria vocazione di mercanti; fu questo il loro primo acquisto e anche la prima vendita per Vespignani. Nel 1946 la coppia affittò un locale in Via Sistina, nel quale nacque la Galleria l'Obelisco di Gaspero e Maria del Corso, che in breve tempo assunse un'importanza primaria nel panorama culturale della capitale. Nell'immediato dopoguerra Irene Brin iniziò una lunga collaborazione con La Settimana Incom illustrata di Luigi Barzini Junior, la versione a rotocalco del più famoso cinegiornale del dopoguerra. Su quelle pagine Irene, con la scusa di dispensare alle lettrici consigli di stile, portamento, vita sociale, moda e così via, produceva dei minuscoli pezzi letterari ricchi di ironia e citazioni sotterranee per un pubblico colto e raffinato. I suoi articoli comparivano con lo pseudonimo di Contessa Clara Ràdjanny von Skèwitch, personaggio che Irene impersonava fingendo d'essere un'anziana, aristocratica esule da un non meglio precisato paese d'oltrecortina, citando qua e là episodi riguardanti propri incontri con altezze reali, scrittori celeberrimi. Così, alla voce sonno raccontava di una conversazione sull'insonnia tra Bergson e Proust; mentre alla voce taxi richiamava un incontro con un'amico d'infanzia, esule a Parigi, che sbarcava il lunario con tale mestiere" (testo tratto da Wikipedia).